Sarebbero stati uccisi, i loro corpi poi dati alle fiamme e i resti gettati nel fiume San Juan, non lontano da una discarica, 43 studenti scomparsi a fine settembre a Iguala, nello stato messicano di Guerrero.
A confessarlo, secondo quanto ha dichiarato il procuratore generale Jesus Murillo Karam, tre narcos di Guerros Unidosini arrestati durante le indagini, durante le quali sono in finite in manette più di settanta persone, inclusi l'ex sindaco del comune messicano e la moglie.
Una confessione che sembra mettere la parola fine sull'episodio, con la procura che ha anche mostrato un video in cui si vedono centinaia di frammenti di ossa e denti recuperati dal fiume. Secondo le autorità ci sarebbero volute quattordici ore per perpetrare l'omicidio di massa e fare sparire i corpi e recuperare il Dna delle vittime non sarà semplice.
La strage sarebbe avvenuta a Cocula, vittime una serie di studenti che si dirigevano a Iguala su minibus, portati via dalla polizia. Una verità che non accettano i genitori dei ragazzi, che hanno chiesto al presidente Enrique Pena Nieto di mantenere la parola data e fare luce su quanto accaduto, perché sia garantita giustizia.
L'accusa nei confronti del sindaco e della moglie, arrestati nei giorni scorsi, è di avere ordinato l'omicidio degli studenti per scongiurare manifestazioni contro la donna, che doveva tenere un comizio. "I nostri figli sono vivi", hanno dichiarato i genitori dei ragazzi scomparsi. Almeno fino a quando non saranno presentate prove definitive. "Stanno provando a chiudere il caso in questa maniera", ha detto uno di loro, Felipe de la Cruz.
538em;">Estremamente critica la reazione di Amnesty International alle dichiarazioni del procuratore generale. La ong ha accusato il governo di non volere "riconoscere che si tratta di un crimine di Stato, e non di un fatto isolato" e denunciato una serie di errori nell'affrontare "la crisi dei diritti umani nel Paese".
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