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Il riscatto da un miliardo di dollari che ha isolato il Qatar

Il Qatar avrebbe pagato un totale di 1 miliardo di dollari di riscatto per il rilascio di alcuni membri della famiglia reale rapiti in Iraq da Kata'eb Hizbollah e ad Al Qaida in Sira per la liberazione di alcuni militari qatarioti. Le operazioni che hanno fatto infuriare Riyad e gli altri Paesi del Golfo

Il riscatto da un miliardo di dollari che ha isolato il Qatar

Il Qatar avrebbe pagato un totale di 1 miliardo di dollari di riscatto a una formazione paramilitare sciita vicina all'Iran per il rilascio di alcuni membri della famiglia reale rapiti in Iraq e ad Al Qaida per la liberazione di una cinquantina di miliziani qatarioti catturati in Siria, in due operazioni distinte. Sarebbe questo, secondo quanto riporta il Financial Times, uno dei fattori scatenanti - certamente non l'unico - che si cela dietro la clamorosa decisione di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Egitto, Maldive e Yemen di interrompere i rapporti diplomatici con Doha.

Secondo le testimonianze raccolte dal Financial Times, dunque, l'emirato avrebbe speso milioni di dollari in almeno due interventi che hanno assicurato il rilascio di 26 membri della famiglia reale rapiti nel sud dell'Iraq per mano degli sciiti di Kata'eb Hizbollah – vicini all'Iran - e di altri 50 soldati catturati da una formazione jihadista affiliata ad Al Qaida in Siria. L'operazione, conclusasi in aprile, avrebbe ulteriormente alimentato i dissapori fra Doha e gli altri stati del Golfo Persico, Arabia Saudita in testa, che ha atteso la visita del presidente statunitense Donald Trump a Riyad per isolare il Qatar - principale sponsor dell'Islam Politico e sostenitore dell'organizzazione transnazionale della Fratellanza Musulmana.

Fiumi di denaro dal Qatar ai rivali dell'Arabia Saudita

“E' la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso” - afferma un osservatore intervistato dall'autorevole quotidiano britannico. Doha, nel frattempo, prende tempo ma non conferma né smentisce il retroscena riportato dal FT ma nega nella maniera più assoluta di sostenere formazioni terroristiche e jihadiste in Medio Oriente. Una persona vicina all'emiro del Qatar, tuttavia, conferma che alcuni pagamenti sono stati effettivamente portati a termine. Di questi, secondo i funzionari governativi iracheni, circa 700 milioni di dollari sarebbero stati dati a Kata'eb Hizbollah, formazione paramilitare sciita che opera principalmente in Iraq, affiliata a Hezbollah e alla Repubblica Islamica dell'Iran. Un fiume di denaro consegnato agli acerrimi rivali dei Paesi del Golfo nel Medio Oriente che ha fatto infuriare Re Salman e l'Arabia Saudita.

Sempre secondo il FT, un'altra tranche da 200-300 milioni di dollari sarebbe stata concessa ai terroristi salafiti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Al Nusra), l'ultima incarnazione di Al Qaida in Siria. A tal proposito, lo scorso febbraio, la Repubblica Islamica dell'Iran ha accusato Riyad - in particolare - e Doha di finanziare le milizie jihadiste siriane e Hayat Tahrir al-Sham. Secondo alcuni esponenti dell'opposizione siriana a stretto contatto con la formazione islamista, il Qatar ha usato il pretesto degli ostaggi per finanziare Tahrir al-Sham.

Kuwait mediatore tra Doha e Riyad

Nel frattempo, il ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha chiesto al suo omologo del Kuwait di svolgere un ruolo di mediatore nella odierna crisi tra le monarchie del Golfo. Secondo Doha, infatti, il Kuwait ha la capacità di “proseguire le proprie relazioni e comunicare con le parti per cercare di contenere la crisi”. Il ministro ha anche sottolineato che l'isolamento ha avuto un “impatto senza precedenti” sui cittadini del ricco emirato. Ha inoltre aggiunto che il Qatar non prenderà contromisure e che “queste divergenze tra paesi fratelli devono essere risolte attraverso il dialogo”.

Secondo il portavoce del ministro degli esteri iraniano Bahram Qassemi, “la soluzione a queste visioni diverse, tra cui la disputa in corsa tra il Qatar e gli altri stati confinanti, è possibile solamente attraverso metodi pacifici e un dialogo trasperente e onesto tra le parti”.

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