La Siria, soprattutto. Ma non solo. Libia, Iran, Turchia. E ancora Egitto, Iraq e perfino Israele. La "russificazione" del Medio oriente e l'iper attivismo economico, diplomatico e militare del Cremlino in un'area che fino a pochi anni fa era quasi di esclusivo appannaggio statunitense è ormai un dato di fatto inoppugnabile. Dopo decenni di assenza, Mosca domina la scena, favorita dalle passate contraddizioni della politica estera americana e da una crescente volontà di egemonia. Da Aleppo a Tobruck, da Teheran al Cairo, passando per Istanbul, Vladimir Putin sta giocando da protagonista su tutti i tavoli in cui si disputa la grande partita mediorientale. Ora occorre vedere quali saranno gli effetti del raid deciso da Donald Trump. SIRIA Dopo l'intervento decisivo a favore di Damasco che ha letteralmente capovolto la situazione siriana sul piano militare, Putin ha scelto il ruolo dell'uomo del compromesso tra il governo di Bashar al Assad e i cosiddetti ribelli. Il suo obiettivo è stato finora quello di consolidare il cessate il fuoco e ottenere il sigillo dalla comunità internazionale sull'accordo scaturito ai colloqui di paxce di Astana. Nell'attesa del riconoscimento sul piano politico e diplomatico dello standing di leader della pace ritrovata, dopo i fallimenti dell'amministrazione Usa di Barack Obama e della comunità internazionale tutta, Mosca ha consolidato una presenza forte nel paese, rafforzando la sua presenza a Lakatia, la base navale su Mediterraneo, e fornendo equipaggiamenti e addestramento alle forze siriane. La sua presenza politico e militare fa sì che nella gestione del dopoguerra siriano il Cremlino giocherà un ruolo chiave.
LIBIA
Mentre la comunità occidentale continua a dialogare con un sempre più indebolito Fayez al-Serraj, siglando con il governo di Tripoli fragili accordi su migranti e cooperazione economica, la presenza russa si espande sempre più vistosamente. E' metà gennaio quando il rivale di Serraj, l'ex ufficiale di Gheddafi, Khalifa Haftar, capo del governo di Tobruck non riconosciuto dall'Onu, viene invitato a bordo della portaerei russa 'Ammiraglio Kutsenov' che incrocia a largo della Cirenaica di ritorno dalla Siria. Il primo di una serie di incontri. L'uomo di Tobruk riceve gli onori della Marina russa, ha un colloquio telefonico con gli alti papaveri della Difesa e diventa di fatto il referente del Cremlino nel delicato scacchiere libico. Haftar, insomma, non vuole essere un semplice interlocutore di Serraj, ma si candida a diventare l'uomo forte della Libia post guerra civile. Con la benedizione di Mosca. A febbraio l'agenzia russa Tass ha battuto una notizia passata quasi inosservata ma indicativa: il colosso statale russo dell'energia Rosneft e l'ente petrolifero libico Noc, hanno firmato un accordo di cooperazione.
TURCHIA
Per un cinico effetto della storia, l'omicidio in diretta dell'ambasciatore russo Andrey Karlov, avvenuto nei mesi scorsi per mano di un giovane poliziotto turco ad Ankara, ha rinsaldato il legame tra Russia e Turchia. Soprattutto sul teatro siriano. Mosca e Ankara siedono saldamente al tavolo del negoziato di pace assieme all'Iran e alla Giordania. E sia Putin che il presidente turco Erdogan hanno di fatto stabilito un accordo di massima che prevede un compromesso sul nord della Siria: per Ankara lo scopo è di limitare l'influenza curda al suo confine meridionale, mentre Mosca, dopo aver favorito l'offensiva su Aleppo, prende tempo e rinvia la decisione sulla sorte di Bashar al Assad. La Turchia è debole. Flagellata da attentati terroristici sia di matrice jihadista che separatista curda, sempre più lontana dall'occidente dopo il tentato golpe del luglio dell'anno scorso, Ankara si allontana sempre di più dalla Nato e guarda a Mosca come l'unica reale super potenza capace di avere un ruolo in Medio oriente. Con gli scontri politici tra Ankara e alcuni paesi europei delle ultime settimane il riallineamento della Turchia a Mosca sembrava cosa fatta. Ma il Medioriente, diceva Churchill, è un enigma avvolto nel mistero. E tra i primi ad applaudire il radi di stanotte è stato Erdogan
IRAN
Ancora una volta è la Siria il centro di tutto. L'Iran si è seduto al tavolo della conferenza di Astana assieme a Russia, Turchia e Giordania e punta ad affermare la sua presenza nel paese soprattutto per consolidare l'asse sciita nell'area e affermarsi come potenza regionale. Ma Mosca non ha interesse a entrare nelle diatribe religiose e si trova a mediare tra Teheran e Ankara, quest'ultima assolutamente contraria ad una espansione sciita che dalla Persia porterebbe al Libano passando per la Siria. Ed è proprio il conflitto siriano che ha riavvicinato dopo decenni il Cremlino all'Iran: Mosca e Teheran, fin da subito alleati di Bashar al Assad, hanno rinsaldato la loro collaborazione quando per la prima volta dai tempi della Rivoluzione khomeinista, l'Iran ha concesso basi aeree sul suo territorio per il decollo dei caccia da guerra russi che andavano a bombardare le postazioni dei ribelli siriani. Ma l'intesa tra Russia e Iran, anche se non si può parlare di un vero e proprio asse, passa anche per altre strade: dall'energia (per Mosca Teheran è un concorrente sul piano petrolifero da quando è stato sospeso il regime delle sanzioni, ma una maggiore capacità produttiva iraniana fa comodo alla russia su altri versanti, compreso lgli investimenti per infrastrutture) alla collaborazione militare agli scambi economici, fino alla lotta al terrorismo di Daesh.
EGITTO
Era dai tempi di Nasser, primi anni '70 del secolo scorso, che L'Egitto non aveva una relazione così stretta con Mosca. Dopo decenni di influenza Usa, il Cairo guarda apertamente al Cremlino sia sul fronte della cooperazione economica che militare.
E nel quadro mediorientale sempre più instabile, il regime di Al Sisi considera Mosca un punto di riferimento per tutte le crisi regionali: dalla Siria allo Yemen all'Iraq. Mosca inotre, già da diversi anni fornisce armamenti all'esercito egiziano per diversi miliardi di dollari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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