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Spagna, una ricercatrice: "Il Sacro Graal di Gesù è quello di Valencia"

Per Ana Mafé García, che ha decifrato anche un messaggio cifrato, il calice conservato nella terza città della Spagna è quello vero al "99,9%"

Spagna, una ricercatrice: "Il Sacro Graal di Gesù è quello di Valencia"

In Spagna la ricercatrice universitaria Ana Mafé García è sicura, "al 99,9%", che il calice di Valencia è quello che Gesù Cristo usò nell'ultima cena.

La Mafé García lo sostiene nella sua tesi di dottorato in Storia dell'Arte che ha realizzato presso l'Università di Valencia, città dove l'importantissima reliquia è conservata.

Infatti nella Cattedrale-Basílica Metropolitana della terza città della Spagna, capoluogo della Comunità Valenciana, all'interno della cappella del Santo Calice, è conservato quello che viene chiamato in spagnolo "Santo Cáliz" o "Santo Grial", il calice che, secondo la tradizione, è stato usato da Gesù Cristo durante l'ultima cena a Gerusalemme, che poi è stato tenuto e usato dagli apostoli e, infine, attraverso Antiochia e Roma, è arrivato in Spagna.

La ricercatrice, presentando le sue scoperte sulla protostoria del Santo Calice, ha supportato le sue affermazioni con prove documentali e scientifiche che richiamo i più importanti studi condotti negli anni '60 dal cronista Antonio Beltrán.

"La struttura della coppa, per la sua forma, è databile al I-II secolo a.C.", ha spiegato la ricercatrice al quotidiano Abc. "La tazza, inoltre, è fatta con misure ebraiche ad hoc". Essendo una coppa ebraica, "contemporanea ai tempi di Erode", la datazione nel suo ambiente primitivo la colloca, secondo la tesi, nel periodo del secondo tempio di Gerusalemme.

"Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di recarsi a Gerusalemme, sanno che quando vai nei musei e chiedi di vedere le cose dal secondo tempio, ti spiegano che di quel tempio non rimane nulla. Siamo fortunati a Valencia ad avere una traccia archeologica di duemila anni fa legata a quella che è la cultura ebraica", ha detto Ana Mafé.

La dottoressa ha ricordato che "il Santo Calice non era mai stato catalogato come una vera tazza ebraica" e "analizzando il materiale lapideo della coppa si può osservare che esso è fatto di pietra catalogata in antichità come sardonica, una pietra tipica che rappresentava la tribù di Giuda, quella alla quale apparteneva Gesù di Nazaret".

Un altro contributo data dalla ricercatrice è quello relativo ad una nuova lettura di un'iscrizione della coppa di Valencia. Attraverso un triangolo posto alla base dell'epigrafia, è riuscita a risolvere un messaggio cifrato fino ad oggi: "Si allude al nome ebraico di Gesù, in base all'idioma ebraico e a quello dell'arabo aljamiado", l'arabo usato in Spagna per le lingue romanze parlate in andalusia nel periodo dell'al-Andalus, cioè del dominio arabo.

Ana Mafé ha voluto utilizzare anche la regola di Laplace sulle probabilità analizzando le questioni tecniche riguardanti il Santo Graal, arrivando a sostenere che il calice di Valencia riunisce il 99,9% delle caratteristiche ritenute essenziali per ritenerla quella autentica. "Questa è solo una regola matematica della probabilità, la mia metodologia è prevalentemente iconografica", ha voluto sottolineare l'esperta.

Dunque per la Mafé al 99,9% delle probabilità la coppa conservata in Spagna è il Santo Graal utilizzato da Gesù Cristo nel corso dell'Ultima Cena. E secondo la Mafé è l'unica tazza di quel periodo ebraico che è conservata in tutto il mondo.

La tesi di dottorato della ricercatrice, resa possibile da un finanziamento nell'ambito del programma #verysentirlacultura del Losan Optical Center, è intitolata "Aportes desde la Historia del Arte al turismo cultural: el Santo Cáliz de Valencia como eje del relato turístico que sustenta el Camino del Santo Grial en el siglo XXI", cioè "Contributi dalla storia dell'arte al turismo culturale: il Santo Calice di Valencia nel cuore della storia turistica che sostiene il Cammino del Santo Graal nel XXI secolo".

La Mafé ha presentato il suo lavoro alla presenza della studiosa italiana

Angela Di Curzio, esperta delle Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro di Roma, di María Gómez Rodrigo, professoressa dell'Università di Valencia e di Juan Miguel Diaz Rodelas, prete custode del calice valenciano.

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