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Tutti gli errori nella lotta al virus

Tutti gli errori nella lotta al virus

Ci sono molti eroi. Non conosciamo i loro nomi. Operano, nel silenzio, da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus. Penso ai medici, agli infermieri e, più in generale, a tutti gli operatori sanitari. Molti di loro ora sono positivi a Covid-19. Alcuni sono addirittura morti, passando dall’altra parte della barricata: fino a poche ore prima erano lì a lottare per salvare le vite dei pazienti ricoverati nei loro ospedali; poi, d’improvviso, eccoli gettati nel baratro. L’epidemia è dilagata così velocemente e con una violenza tanto inaspettata da travolgere l’intero sistema come uno tsunami di morte. Di sicuro, a guardare indietro, sono stati fatti numerosi errori che hanno contribuito a far dilagare il contagio.

Nella comunità scientifica, soprattutto all’inizio, c’è stata molta confusione. Si è sbagliato a parlare a più voci. A chi, come il virologo Roberto Burioni, ha subito avvertito la gravità della situazione invitando il governo a misure ristrettive per fermare la circolazione, si sono contrapposte medici che hanno minimizzato la situazione inducendo i cittadini a considerare Covid-19 una banale influenza. È il caso, per esempio, di Maria Rita Gismondo. A fine febbraio il direttore responsabile di Macrobiologia clinica, virologia e diagnostica bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, uno dei tre poli dove venhono mandati i tamponi da analizzare, se ne era uscita dicendo: “Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così. A me sembra una follia”. Un mese dopo si è scoperto che in Italia il coronavirus ha una mortalità del 9%. E l’Oms ha dichiarato la pandemia. Perché non lasciare la parola all’Istituto superiore di sanità? Perché intraprendere un inutile “dibattito da bar” fatto da interviste, battibecchi social e titoli sensazionalistici sui quotidiani? Lo stesso dicasi per gli studi che hanno divulgato le più strambe teorie sul virus.

Nello stesso errore è caduto il premier Giuseppe Conte che nella gestione di questa emergenza ha fatto più di un passo falso. Il governo, con i suoi continui decreti, non ha fatto altro che gettare il Paese nell’incertezza. Eppure i governatori di Regione e i sindaci dei Comuni più colpiti lo avevano subito avvertito che la situazione era fuori controllo e che servivano misure eccezionali. A bloccare il Paese per evitare il diffondersi del contagio si è arrivati tardi: troppi step prima di decidere la “chiusura totale”, bozze trapelate prima che venissero varate, testi di leggi tenuti nascosti fino all’ultimo e poi una comunicazione disastrosa. Che senso ha avuto blindare il Nord Italia senza disporre i controlli nelle stazioni ferroviarie? Il risultato (ovvio) è stato una (prevedibile) fuga al Sud con la conseguente diffusione della bomba anche in altre aree del Paese. E ancora: che senso ha avuto presentare il decreto “Chiudi Italia” sabato sera, alle 23:30 passate, su Facebook? La misura è entrata in vigore solo oggi e c’era tutto il tempo per organizzare una presentazione più istituzionale.

Tutti questi errori di comunicazione hanno agito, in modo negativo, sulle scelte di molti che se ne sono infischiati degli appelli a stare a casa. Al singolo è stato lasciato troppo margine di azione. Perché non chiudere tutto subito? Perché non dire, senza mezzi termini, che nessuno doveva andarsene a zonzo anche solo per far joggingal parco? Se fosse stata intrapresa questa strada, si sarebbero sicuramente evitate le corse disperate a fare la spesa. Nel fine settimana, in cui il governo se ne è uscito trasformando l’intera Lombardia in zona rossa, circolavano ovunque le fotografie degli scaffali svuotati come se il Paese fosse entrato in guerra. In quelle ore, secondo un’inchiesta dell’Espresso, il supermercato che c’è alle porte di Nembro ha incassato oltre 800mila euro. In un solo giorno. Si può solo immaginare la ressa di persone che faceva la coda alle casse.

Non si possono, infine, tralasciare le colpe dell’Unione europea. Come al solito non ha saputo dimostrarsi all’altezza della situazione. L’emergenza è dovuta “uscire” dal nostro Paese per spingere i burocrati di Bruxelles a prendere in considerazione la situazione.

In questo lasso di tempo abbiamo assistito a un epico strafalcione di Christine Lagarde, che ci è costato centinaia di miliardi di euro di capitali bruciati in Borsa, ai soliti egoismi dei Paesi membri (mascherine sequestrate in aeroporto, divieto di esportazione di macchinari per la respirazione assistita, tira e molla sulla possibilità di sforare il debito pubblico e così via) e al doppiopesismo della Commissione Ue che ha messo da parte il Patto di Stabilità solo quando la Germania ha fatto sapere che se ne sarebbe infischiata delle regole europee. Un film già visto che però ora fa i conti con diverse migliaia di morti, una sanità in ginocchio e un’economia che rischia un crac ben peggiore di quello del 2008.

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