Xi Jinping, il leader cinese che sta visitando il Belpaese in questi giorni, non ha incontrato papa Francesco. Dietro questa scelta, stando alle motivazioni che circolano, ci sarebbe la necessità di non prestare troppo il fianco a chi, nella Repubblica popolare cinese, continua a possedere una certa pregiudiziale ideologica nei confronti del cattolicesimo e delle confessioni religiose in genere. Ma il segretario generale del partito comunista del "dragone", a dire il vero, una chiesa l'ha visitata. Non sarà maestosa e politicamente significativa come la Basilica di San Pietro, ma la Cappella Palatina di Palermo ha decisamente il suo perché.
La Santa Sede e il governo di Pechino, durante lo scorso autunno, hanno stipulato un patto diplomatico dal tenore storico: il cosiddetto "accordo provvisorio" sulla nomina dei vescovi. Il Santo Padre è stato riconosciuto dall'esecutivo cinese come autorità religiosa. Il papa può pure istituire nuove diocesi. I presuli, invece, vengono selezionati in maniera partecipata tra Roma e la Conferenza episcopale cinese. La tenuta del trattato andrà verificata nel corso del prossimo biennio. Sembrava il preludio a una stetta di mano, che sarebbe dovuta avvenire in occasione della venuta in Italia di Xi Jinping, ma qualcuno ha preferito soprassedere. Il Vaticano sembrava disponibile. É stata la controparte a sviare. Così, almeno, viene specificato all'interno delle analisi che sono state presentate. Vale la pena sottolineare, secondo quanto si apprende leggendo sul quotidiano La Verità, come una "parte della sua delegazione", intesa come quella che ha accompagnato Xi Jinping, si sarebbe recata in Santa Sede. Almeno un contatto, insomma, ci sarebbe stato.
Il pontefice argentino avrà notato la presenza del presidente della Cina nella Cappella Palatina di Palermo. Di sicuro questo può essere interpretato come un segnale d'apertura. Sullo sfondo c'è ovviamente la geopolitica: lo sviluppo del multilateralismo, che la diplomazia vaticana sembra assecondare, e la messa in discussione dell'atlantismo trumpiano, che papa Francesco ha più volte dimostrato di non voler sposare in pieno. Forse perché, da sudamericano, ci tiene a mantenere una certa distanza. Poi c'è il fattore sovranismo populista, che Donald Trump incarna a pieno e che Jorge Mario Bergoglio, specie per mezzo della pastorale sui migranti e di documenti ufficiali, non fa mistero di combattere. E infine c'è la rivalità commerciale mai celata tra Stati Uniti e Cina.
Xi Jinping, in sintesi, è diventato un interlocutore privilegiato delle cancellerie ecclesiastiche. La mancata visita al papa di questi giorni non dovrebbe lasciare troppi strascichi.
Dalle parti di piazza San Pietro considerano l'"accordo provvisorio" come decisivo ai fini della pacificazione tra cattolici cinesi e governo di Pechino. E poi, in fin dei conti, il leader della Repubblica popolare un passaggio in chiesa lo ha fatto.
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