Monte Zoncolan - Sgombrandola dai cumuli di superlativi dispensati tanto al chilo dai telecronisti di Stato, la tappa dei grandi numeri – ascolti tv, pubblico per strada, pendenze – va definita corsa mignon. Niente di paragonabile a certe giornate sul Mortirolo, o niente di paragonabile a quella di domenica sulle Tre Cime di Lavaredo. Non è per fare gli snob: si cerca solo d’essere realisti. È come una scapoli-ammogliati giocata dentro al San Siro del tutto esaurito. Un semplice dato: Petacchi 63º a 11 minuti (lui, che nelle vere tappe alpine viaggia sempre al limite del tempo massimo). Un secondo dato: i migliori di classifica compresi in mezzo minuto. Siamo seri: parlare di tappone d’altri tempi e di giornata epica è una totale fesseria, che volentieri va lasciata agli specialisti del ramo, schierati sui palchi Rai.
La cronaca della gara è rapidissima: Simoni attacca sullo Zoncolan, Simoni non riesce ad arrivare da solo (dove sta l’impresa, allora?), Simoni vince grazie a quell’ente di beneficenza chiamato Piepoli, il gregarione che ha già lasciato le Tre Cime al piccolo Riccò. Meglio, molto meglio passare velocemente ai commenti e alle pagelle.
Partiamo proprio da lui, dall’inesauribile Gibo. Puntualissimo come l’Ici, non appena la strada si impenna parte in quarta. Al solito, però, la sua azione non è atomica. Dopo pochi tornanti, viene ripreso. Spiega: «Sono contento di aver rivinto qui dopo quattro anni. Il Giro l’ho perso già alla prima tappa, con una pessima cronosquadre. A questo punto, è giusto che lo vinca Di Luca». Voto al coraggio, 10. Voto all’efficacia, 7. Presto sarà il momento di un voto alla carriera: considerando che non ha mai combinato nulla oltre Chiasso, al massimo 7.
Per rispetto del cerimoniale, subito spazio alla maglia rosa. Danilo Di Luca va un po’ meno bene di quanto ci si aspettasse, ma nel complesso abbastanza bene in chiave vittoria finale. Al secondo scatto di Simoni decide di non farsi frullare, e decide di salire con la cadenza preferita (voto all’intelligenza: alto). Perde mezzo minuto dal vincitore, cioè niente. Lo perde però anche da Schleck, il che non gli consente di seppellire il Giro. Tutto rinviato alla cronometro di sabato, 43 chilometri da Bardolino a Verona. Il giovane fenomeno lussemburghese è uno specialista, ma Di Luca ci arriva con 2’24’’ di vantaggio. «Fossi rimasto con Simoni, adesso mi sentirei più sicuro. Comunque se mi avessero detto all’inizio che sarei arrivato con questo vantaggio a Verona, avrei subito firmato. Del resto, lo sapevo che tutto si sarebbe risolto sabato sera. È una costante della mia vita: sin da piccolo, ho sempre dovuto lottare fino all’ultimo». Voto di giornata, 6. Voto alla sana amministrazione d’impresa, 8,5.
Poi Piepoli. Si conferma il più grande scalatore del Giro. L’impressione – chiarissima – è che possa vincere anche qui, ma anche qui come sulle Tre Cime libera la sua anima da gregario e lascia la vittoria al capitano. Domenica Riccò, Stavolta Simoni. Premio cuore d’oro. Voto 9.
Già che ci siamo, restiamo in famiglia con Riccò. Perde oltre due minuti: troppo, in una giornata giocata sui secondi. Si giustifica così: «Tappa troppo corta. Sono un fondista, vado meglio nei tapponi con diversi colli». La bancata gli farà solo bene. Mangiare un po’ di pane nero in gioventù aiuta nella maturità. Per il momento, gradisca un utilissimo 4.
Tocca a Schleck, l’altro baby-prodigio. Sullo Zoncolan, lui che è un pennellone, si dimostra più scalatore di Riccò. Fino a trecento metri dal traguardo, appare il più brillante di tutti. Poi finisce nel trappolone della premiata ditta Piepoli-Simoni e perde una decina di metri. Comunque vincitore: nella crono di sabato può mettere strizza a Di Luca. Già adesso è un risultato eclatante.
Voto al suo Zoncolan, 9. Voto al suo Giro, 10.Infine Cunego. Il solito Cunego. Rema valorosamente, ma sembra sempre trainarsi dietro un frigorifero. Voto alla tappa, 5. Voto al carattere, 7. Media, sempre quella: 6.
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