Dal Montgomery al trench Loewe in passerella riscrive i grandi classici

Tutto argento dalla testa ai piedi: così Balmain si ispira alle atmosfere della discoteca anni '80

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Parigi «Scambio Don Quichotte con Madame Bovary» grida un'importante stylist nell'hall della sede parigina dell'Onu dove ieri mattina si è svolta la sfilata di Loewe. Un'altra vuole barattare Emily Bronte con Dracula mentre il fashion critic del New York Times si tiene ben stretta la sua copia di Cuore di tenebra.

Il popolo della moda gioca al book sharing prima e dopo lo show grazie a un'interessante lavoro sul classicismo di Jonathan W. Anderson. Il designer nord irlandese, 36 anni, dal 2013 direttore creativo dello storico marchio spagnolo ha rifatto con Steven Meisel le copertine di cinque classici della letteratura per capire se basta modificare l'esterno per rendere nuovamente rilevante l'interno. Il paragone tra libri e moda lascia un po' il tempo che trova, ma senza dubbio i pezzi migliori sono capisaldi del guardaroba come trench, montgomery, tubino e chemisier rivisti nelle proporzioni e nei materiali. Ad esempio c'è un modello che davanti sembra il solito trench e dietro è un abito a tablier che lascia scoperta la schiena. Lo chemisier sembra in cotone bianco e denim azzurro, mentre è di seta e pelle.

Invece il sublime montgomery in montone color cachi altro non è che canvas doppiato di pelliccia. Dello stesso segno gli accessori, una borsa più bella dell'altra dallo zaino al bauletto in coccodrillo passando per il modello con soffietto maculato e la stessa chiusura a laccio dei quaderni di una volta. Anche Olivier Rusteing fa un'operazione del genere da Balmain prendendo in esame lo stile disco dance degli anni Ottanta con una rilettura molto letterale del glitter, delle spalle iperboliche, degli accostamenti forti tipo nero e blu Klein, argento e giallo fluo. Simmetrica la colonna sonora che mette le ali ai piedi del pubblico ma anche a quelli delle modelle con incredibili scarpe tipo stivaletto con i pennacchi alle caviglie. Manca solo il disincanto necessario per riguardare a quell'epoca irripetibile senza farsi prendere da un'assurda sindrome di Stendhal. È invece molto pragmatico e coerente Marco Colagrossi che da due stagioni disegna Ungaro dopo aver fatto l'equivalente modaiolo del Vietnam: 16 anni nell'ufficio stile di Dolce e Gabbana e 4 da Armani. «Ho imparato tanto taglia corto lui soprattutto so che se rileggo troppo l'archivio è un errore, se non lo faccio manco di rispetto a un grande». Da qui l'idea davvero intelligente di prendere in esame un tema e svilupparlo in tutte le sue parti. Stavolta è il pois che il couturier metteva tra chilometri di ruche, strascichi e volant. Lo fa anche Colagrossi ma in chiave più giovane e portabile: qualcosa che a Parigi chiamano «chuette», più attraente e accattivante che banalmente carino. Strepitose le scarpe prodotte su licenza da Malone Soulier. Dello stesso tipo l'operazione di Julien Dossena per Paco Rabanne.

I meravigliosi vestiti di Barbarella in placche metalliche tenute insieme tra loro da minuscoli anellini, adesso sono in PVC, per cui hanno un peso sopportabile ma producono ugualmente il seducente suono di una moderna danza tribale. Si portano con fantastiche ciabatte fatte negli stessi materiali e con pullover o cappotti di cashmere per proteggersi dal freddo. Su questo punto nessuno fa un lavoro poetico e profondamente nuovo come Miyamae, talentuoso designer di Miyake. Nelle pieghe di una tradizione che da Pleats Please è passata al plissè Steam Stretch adesso c'è un filo di lana che rende tutto più morbido e caldo.

Colori da capogiro dopo un bianco abbacinante da grande freddo. Piacevole lo stile cow boy di Isabel Marant, con giacche e mantelle a righe e montoni intarsiate nei classici disegni Serape del New Messico. Niente di nuovo tranne il lancio della collezione uomo.

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