di Giovanni Chiari
«Se entrerà in vigore la nuova normativa Ue
avremo un aggravio di alcuni milioni di euro»:
i conti in tasca Giorgio Squinzi se li è già fatti
non da oggi. Alla guida di un gruppo presente
in 24 paesi con 44 stabilimenti all'estero e nove
in Italia, Squinzi guarda oggi alla situazione
italiana con preoccupazione: poco meno
del 40% del fatturato totale
(circa1,7miliardi) viene dagli
stabilimenti del nostro
paese che danno lavoro a
1.800 dipendenti.
«L'emission
trading (semplificando,
il sistema che prevede
un costo per ogni tonnellata
di Co2 emessa, ndr) avrà
un effetto pesante su tutta
la chimica europea, solo in
Italia avrà un costo di circa
un miliardo all'anno, di cui
metà come aumento del
prezzo dell'elettricità e metà
dall'acquisto di diritti
emissione di Co2».
E il suo gruppo?
«Noi come azienda siamo diversificati:
su Mapei ci sarà
un impatto dovuto soprattutto
all'aumento del costo
dell'elettricità, che crescerà
in misura notevole. Per le altre
due aziende, Vinavil e
Polyglass, l'aggravio verrà
invece dalla necessità di acquistare
quote di Co2 sul
mercato in quanto Polyglass
è già oggi un autoproduttore
di energia elettrica,
mentre Vinavil sta investendo nella stessa direzione».
Quanto pesa il costo dell'energia sul vostro
fatturato?
«A livello nazionale abbiamo un valore della
produzione di circa 800 milioni: l'elettricità
incide per un 3%, il che significa circa 24 milioni.
Se entrerà in vigore la nuova normativa
prevedo un aggravio di alcuni milioni».
E Vinavil e Polyglass?
«Polyglass opera in provincia di Treviso, l'abbiamo acquistata
dal 1˚ ottobre: produce elettricità e
utilizza il calore emesso per fondere il
bitume e trasformarlo in membrane impermeabili.
È una delle aziende del settore più significative
a livello europeo. Quanto a Vinavil,
produrrà elettricità, vapore e acqua calda,
con un rendimento altissimo, tra l'80 e l'85%.
In Vinavil stiamo investendo 5milioni per raggiungere
il massimo dell'efficienza energetica.
Così avremo il danno e le beffe: investiamo per avere la
migliore situazione
possibile e in più
saremo costretti a comprare
le quote per le emissioni
di Co2. Ma ci sono altri settori della chimica che si trovano
in situazioni simili,
come quella di base e la petrolchimica.
Il discorso
che ci riguarda può essere
moltiplicato per cinquanta».
Le imprese italiane hanno
chiesto che i parametri
per le emissioni siano
uguali per tutta la Ue,
mentre oggi sono più rigidi
per l'Italia in seguito a
una contrattazione poco
battagliera dell'allora ministro Edo Ronchi.
Se si arrivasse
a una parificazione
sareste soddisfatti?
«Il problema vero è che
l'Europa non può risolvere
i problemi di tutto il mondo:
rischiamo di suicidarci
mentre Usa, Cina, India e
Brasile continuano ad
emettere Co2 come prima.
Il costo della nuova normativa per la chimica
europea sarà di 8-10 miliardi. Quella italiana
spenderà un miliardo l'anno in più dopo che è
già oggi entro i parametri dell'accordo di Kioto:
dal '90 ad oggi abbiamo registrato un miglioramento
dell'efficienza energetica del
3-4% l'anno. Dal '90 al 2006 l'industria chimica
ha ridotto le emissioni del 48%, le imprese
che aderiscono al programma Responsible
Care sono arrivate al 54%».
C'è un'altra cosa che chiedete, come la chiede
il governo italiano: una moratoria nell'applicazione
delle nuove regole.
«Noi riteniamo che non solo vadano rinegoziati
i parametri che ci penalizzano rispetto agli
PaesiUe, ma pensiamo sia necessaria una moratoria per un paio
dianni, anche in considerazione
della situazione pesante che si è creata
con la crisi finanziaria. Ma attenzione: a fronte
di una moratoria siamo disponibili a impegnarci
di più nel programma Responsible Care:
le imprese che vi aderiscono coprono più
del 50% della produzione chimica nazionale
e hanno un peso significativo nel miglioramento dell'ambiente.
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