Morgan dai Bluvertigo al classico

Nel concerto di lunedì al Nazionale l’artista proporrà una nuova suite oltre al tributo a Fabrizio De André

Antonio Lodetti

S’è lasciato disinvoltamente alle spalle la sua creatura, Bluvertigo, per inventarsi un brillante e creativo presente da solista impegnato. È milanese e il suo nome è Marco Castoldi, ma è noto agli appassionati di rock e dintorni come Morgan.
Quel Morgan che pochi giorni fa ha celebrato al Teatro Nazionale insieme alla Pfm il compleanno di Fabrizio De André; quel Morgan che ha completamente riletto il capolavoro deandreano Non al denaro non all’amore né al cielo e continua a portarlo in concerto, come farà lunedì sera ancora al Nazionale. Ma Morgan per lo show milanese promette grandi sorprese e una parte completamente nuova.
«Nella prima parte propongo una suite, quasi un’ora ininterrotta di musica in cui improvviso a lungo e rileggo, riattualizzandoli, anche pezzi dei primissimi Bluvertigo, brani come Lsd e Canone inverso o pezzi come I Am Happy degli Scerba. Sempre con la mia band che ha la giusta dose di bravura, obliquità e pazzia. Un repertorio da ascoltare attentamente e con concentrazione; ci vorrebbe la scritta “No applausi”».
Insomma, sempre più influenzato dalla musica classica.
«Ogni genere musicale mi influenza in ugual misura. Forse solo il jazz non fa parte della mia formazione, anche se amo pianisti come Lennie Tristano, Jelly Roll Morton o ancora Charlie Mingus e soprattutto le pazzie improvvisative dell’Art Ensemble of Chicago. Loro sono uno dei miei gruppi di riferimento; amo improvvisare a metà strada tra il loro sperimentalismo, la ricerca della musica contemporanea e il rumorismo».
E in Italia cosa le piace?
«Non posso non amare i cantautori classici: Modugno, la scuola genovese. Poi mi piacciono cose originali, fuori dal coro, come Bugo, i Subsonica, i Mariposa che fanno musica splendida, concettuale, e per questo fanno fatica ad emergere».
E naturalmente De André.
«Il più grande. Gli dedico l’intero secondo tempo del mio show. Sono felice che la rielaborazione dei suoi brani sia piaciuta; l’ho sempre definita un’opera di traghettamento. Ogni volta che eseguo le sue canzoni mi vengono i brividi ma in realtà la sfida del remake la considero ormai chiusa».
Uno come lei come giudica il Festival di Sanremo?
«Per me non corrisponde alla realtà del mondo musicale, perlomeno non rappresenta tutta la musica italiana. In passato ho partecipato al Festival per rendermi conto di persona, e mi pareva di essere in un mondo strano, surreale, mi sentivo come Alice nel Paese delle Meraviglie».
Come vede il panorama musicale?
«Male, ma non perché manchino artisti di valore o pieni di talento e idee. Siamo tagliati fuori dal giro internazionale, non investiamo sulle risorse artistiche e culturali. L’Italia è conosciuta all’estero soprattutto per l’arte e la cultura eppure nessuno le promuove; figuriamoci la musica leggera, che non è neppure considerata cultura».
Così è ancora più bello raggiungere il successo senza condizionamenti commerciali, facendo quello che uno veramente sente di fare.


«Sì, ma quanta fatica e quante battaglie mi sono costate questa mia voglia di rimanere me stesso rinunciando alle scorciatoie e al successo facile. Le lusinghe del mondo musicale sono parecchie, ma io vado avanti per la mia strada nel bene e nel male, seguendo in un certo senso il mio demone interiore».

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