Morti 22 bambini. Ma perché Dio si è distratto?

Ventidue: che è poi uno, più uno, più uno, più uno... Ma Cristo dov’era due notti fa?! Un colpo di sonno, un malore anche per lui?! Beati i credenti che sapranno rispondersi e consolarsi e darsi pace e perfino trovare una ragione. Noi che non ne siamo capaci, malediciamo quell’utero freddo di tunnel che non li ha più restituiti alle loro madri. Ventidue bambini sulla strada del ritorno a pochi chilometri dalla meta. Sarebbe stata casa, di lì a poco. E invece no. Lo schianto sul lato destro della galleria, il bus accartocciato e i pezzi di lamiere, i vetri sfondati e il sangue. Denso, appiccicoso, dolciastro, rosso d’ingiusto. E ventidue, che poi sono una, più una, più una, più una... mamme a casa, a colare lacrime di ghiaccio, in piedi per sempre ad annusare indumenti con quel che resta del loro profumo. A lasciarselo impigliare addosso dappertutto quel profumo. Finché resiste, finché non evapora come la vita dei loro figli dodicenni che stavano in vacanza sulla neve bianca. E poi sarà odore di amori decomposti dal destino, di anni che non verranno. E loro lì: nere come lividi, prese a botte dal caso. Col vuoto più difficile da lasciare. Ad aspettare di andarli a vedere immobili, quando loro li avevano consegnati vivi: con lo zaino, le cuffiette per la musica, l’agenda gonfia di domani e la voglia di partire. Perché non lo si dice, almeno in momenti come questi, che la vita morde? E che non c’è dio e che non c’è nemmeno ragione? Quelle ventidue madri sotto gli aculei del dolore, a ingaggiare la lotta più contro natura che ci sia: quella con quel corpo estraneo che è l’assenza di un figlio. Un bambino che era in vacanza con la scuola. Da solo nelle sue prime prove di volo.

E mangiava bene e si divertiva con i compagni, e faceva le fotografie e raccontava di essere gagliardo sugli sci e scriveva, le scriveva, poche ore prima dell’inferno sull’asfalto: «Mamma qui è tutto un paradiso, ma mi manchi. Dai, che mercoledì ci vediamo...».

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