È morto ieri a Vercelli alletà di 81 anni Urbano Lazzaro, il partigiano della 52ª «Brigata Garibaldi» che arrestò Benito Mussolini a Dongo mentre il Duce tentava la fuga in Svizzera. Lazzaro, meglio noto con il soprannome di «Bill», era stato ricoverato nei giorni scorsi allospedale di Vercelli (le esequie si svolgeranno oggi nella chiesa di San Germano, alle 15, poi la salma verrà trasferita nel cimitero di Crova).
Fu proprio Lazzaro a identificare Mussolini durante la perquisizione al posto di blocco dei partigiani a Dongo, il 27 aprile del 1945. Il Duce fu riconosciuto vestito da soldato tedesco a bordo di un camion della Flack mentre teneva la testa rivolta in basso. Lazzaro si fece consegnare da Mussolini un mitra e una pistola che aveva con sé.
Dopo la guerra, come funzionario della Sip, la società idroelettrica piemontese, Lazzaro aveva girato mezzo mondo. Si era sposato a San Germano Vercellese con Angela Robbiano, di qualche anno più giovane, poi si era stabilito a Rio de Janeiro dove tuttora abitano due figlie, una magistrato e laltra direttrice dellOsservatorio astronomico, mentre una terza figlia, Cinzia, abita a Vercelli. A San Germano tornava spesso, soprattutto destate, e abitava in una villetta nel centro del paese. «Bill», negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, era stato coinvolto come coimputato nel celebre processo per loro di Dongo, processo mai concluso. Il partigiano «Bill» raccontò i retroscena del 27 aprile del 1945 in un libro scritto a quattro mani insieme con Pier Bellini delle Stelle, detto «Pedro», il comandante della brigata garibaldina in cui militava. Il libro, dal titolo Dongo, mezzo secolo di menzogne, è il «diario» in cui Lazzaro fornisce la sua versione dellarresto al posto di blocco partigiano e inquadra la cattura del Duce nel contesto storico di quei giorni. Dopo larresto, Mussolini fu portato nel municipio di Dongo scortato da alcuni partigiani, tra i quali proprio «Bill».
E fu sempre Lazzaro a rivelare che luomo che fucilò Mussolini non era il colonnello «Valerio», bensì Luigi Longo, comandante generale delle «Brigate Garibaldi» e numero due del Partito comunista, smentendo così una fotografia pubblicata sul Corriere della sera dellepoca che lo avrebbe immortalato, in quelle stesse ore, durante un comizio a Milano. Un capitolo, quello della morte del Duce, al quale la storia non ha ancora messo la parola fine.
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