«Una moschea in città? Non se ne parla proprio»

La Lega Nord chiede più trasparenza ai musulmani: «Porte aperte sempre, soprattutto alle forze di polizia»

Ci ha provato, ma la richiesta è stata immediatamente rispedita al mittente. «Milano merita una grande moschea», ha sostenuto ieri mattina l’imam di Segrate, Ali Abu Shwaima. Un piatto servito insieme al saki e al cous cous, offerti a mezzogiorno alle famiglie milanesi che hanno partecipato alla giornata di visite alla moschea di via Cassanese, alle porte della città. «Ci siamo integrati - sottolinea l’imam -, chiediamo luoghi dove praticare la nostra fede, non capannoni o scantinati come succede ora, luoghi inadeguati e che sono causa di fastidio alla cittadinanza». Ma la bocciatura non lascia spazio a fraintendimenti. «Non se ne parla proprio - è categorica Tiziana Maiolo, assessore comunale di Forza Italia -: Milano non merita nessuna grande moschea. I musulmani hanno diritto di pregare, ma lo facciano in luoghi privati e possibilmente senza creare fastidio e intralcio alla circolazione, come avviene invece davanti al centro islamico di viale Jenner». Non pensino però, aggiunge, «che il Comune o altre istituzioni costruiscano per loro moschee o luoghi di culto. Mi fa piacere piuttosto che il ministro dell’Interno Giuliano Amato abbia deciso di avviare, seppure in modo un po’ tardivo, controlli sulla legalità dei finanziamenti esteri per la costruzione delle moschee».
Non usa mezzi termini il capogruppo milanese della Lega Matteo Salvini: «Milano ha altre urgenze, se l’imam vuole una moschea tiri fuori i soldi e la costruisca a casa sua». E con l’indagine sui finanziamenti occulti, Amato «scopre l’acqua calda, e la Lega chiede da anni non i controlli, ma la chiusura dei centri islamici». Tende la mano al ministro, invece, proprio l’imam di Segrate, secondo il quale «se si tratta di creare un fondo a cui partecipano Governo e musulmani per costruire moschee vere e proprie, è un’iniziativa da appoggiare. Il nostro lavoro è già trasparente, ma se il fondo può fare ancora maggiore chiarezza, collaboriamo con molto piacere». Una «trasparenza» che, secondo l’assessore lombardo della Lega, Davide Boni, verrebbe sbandierata a spot. Sostiene che è «troppo facile invitarci», come ieri, «a visitare la moschea quando ci sono momenti di tensione, le porte dovrebbero essere aperte sempre, soprattutto alle forze dell’ordine». E boccia la costruzione di grandi strutture dove i musulmani possano pregare, «non c’è spazio per centri culturali o moschee se non ci dimostrano prima di volersi integrare». Piuttosto, Boni rivolge «un accorato appello al sindaco Letizia Moratti perché intervenga al più presto per ripristinare la sicurezza e l’ordine pubblico in viale Jenner, ponendo fine a una situazione di illegalità che causa le giuste proteste dei residenti. Durante la preghiera del venerdì molte persone occupano senza diritto la strada mentre mamme coi passeggini e anziani sono costretti a camminare in mezzo alla strada».
Il vicesindaco di An Riccardo De Corato ricorda che «già anni fa arrivò al sindaco Gabriele Albertini la richiesta ufficiale di una moschea, ma la risposta fu negativa, non avevamo aree disponibili per accogliere un progetto dalle volumetrie così ampie. Anche oggi, semmai la richiesta venisse come allora da una fonte autorevole come il ministro di un Paese arabo venuto a Palazzo Marino, ne parleremmo ma la risposta non potrebbe essere diversa: non ci sono spazi. Dovrebbero pensare ad un’area fuori città».

Fuori dal coro il capogruppo milanese di Fi Giulio Gallera: «Sono d’accordo a individuare un luogo dignitoso per loro e che non crei difficoltà ai residenti come avviene invece in viale Jenner, una realtà che non aiuta l’integrazione e non può rimanere così com’è».

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