Moschea a Milano? Il sindaco ci sta Ma la Lega chiude subito le porte

Formigoni chiede di trovare un luogo di preghiera per le comunità musulmane milanesi dopo anni di rinvii. La Moratti: "Bene il confronto, ma ho chiesto una legge nazionale". Veto del Carroccio: "Non ci sono interlocutori credibili"

Moschea a Milano? Il sindaco ci sta 
Ma la Lega chiude subito le porte

Il governatore fa l’Obama lombardo e apre le porte a una moschea a Milano. Non sarà Ground Zero, ma il tema accende subito le polemiche. Roberto Formigoni ha premesso che "il tema è innanzitutto di competenza nazionale e comunale, spetta allo Stato regolare i rapporti con le confessioni religiose e a Comuni decidere le norme urbanistiche". Ma nei giorni scorsi ha ammesso che "serve una riflessione comune tra Pdl e Lega riunendo i responsabili dei quattro livelli nazionali, regionali, provinciali e comunali per risolvere una volta per tutte il problema". La prima ad accettare l’invito al tavolo (nonostante un mese di ferri corti sul tema Expo) è Letizia Moratti. A Ferragosto il sindaco ha puntualizzato che il Comune "aveva già chiesto una legge nazionale per regolamentare la questione", detto questo è "disposta al confronto con tutte le altre istituzioni, ringraziamo quelle che insieme a noi si vorranno occupare del problema, anche se quest’anno non ci sono state né tensioni né criticità rispetto al Ramadan". La preghiera del venerdì si svolge al Palasharp, le altre sere un centinaio di fedeli si raduna al teatro Ciak, un migliaio è diviso nelle altre strutture a disposizione. E come sottolinea il vicesindaco Riccardo De Corato, se i musulmani stimati sono 100mila "vuol dire che la maggior parte preferisce pregare per conto proprio, che la moschea sia una necessità impellente è tutto da dimostrare". D’accordo con la proposta di un vertice firmata Formigoni ma "servono tre precondizioni o sarebbe inutile". Primo: "Un’intesa tra Stato e comunità musulmana". Secondo: "Serietà e affidabilità degli interlocutori, di certo non possono essere i frequentatori di viale Jenner". Terzo: "Chiarezza sui controlli da parte delle forze dell’ordine, su cosa si dice nella moschea, non può essere un centro di reclutamento del fondamentalismo. É una questione di sicurezza e non può essere risolta a tavolino solo dalle istituzioni locali, il sindaco ha ragione a ribadire che il Comune aveva chiesto una legge nazionale che era stata promessa mesi orsono dal ministro della Lega Roberto Maroni, salvo poi eclissarsi".
E per il Carroccio, appunto, la questione non è "né una priorità né una necessità", per una moschea in città "non c’è neanche spazio". Parola del capogruppo milanese Matteo Salvini: "Siamo disposti a discutere a un tavolo, ma non crediamo ci sia un interlocutore credibile nella comunità islamica, e la gente deve poter dire la sua con un referendum". Anche per Salvini "la questione va risolta" ma la ricetta passa dallo "sgombero dei luoghi di culto abusivi", il tendone "è il massimo che si può dare, se vogliono pregare possono farlo a casa loro".

Abdel Hamid Shaari, presidente dell’Istituto Islamico di viale Jenner, ribatte alla Lega: "Se vuol fare propaganda seminando paura e odio lasciamo perdere", se invece la politica "vuole risolvere il problema siamo pronti a portare al tavolo i rappresentanti ufficiali dei 100mila musulmani". Ma "ad oggi non abbiamo ricevuto inviti, Formigoni è liberissimo di parlare con la Moratti e con il presidente della Provincia Guido Podestà. Ma se non dialogano con la componente più importante non vediamo soluzioni".

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