Lo conoscono tutti. Lo cantano, lo fischiettano, lo citano: i cinefili che ignorano la musica, i musicisti che snobbando il cinema. Ma c’è un altro Ennio Morricone, che pochissimi conoscono, che per decenni s’è (quasi) vergognato dell’universale celebrità di Mission o di C’era una volta il West . Il Morricone colto, già allievo di Goffedo Petrassi, già musicista di Nuova Consonanza, che ancora nel 1996, al sommo d’una popolarità cinematografica globale, cercava d’imporre quell’altra sua musica, quella intellettuale e quasi ignorata, componendo un’opera lirica. La sua unica, mai rappresentata: Partenope . Che il 12 dicembre (a chiusura di Napoli 2500, celebrazione della nascita della città) avrà al teatro San Carlo la prima mondiale assoluta, e postuma, per la direzione del maestro Riccardo Frizza.
Maestro Frizza: cos’è Partenope?
«Un’assoluta novità, che ci svela un Morricone totalmente diverso. Il soggetto, di Guido Barbieri e Sandro Cappelletto, ripercorre il mito della sirena Partenope, che alla vana ricerca dell’amica Persefone si suicida e finisce in mare, spingendo alcune donne a fondare in sua memoria la città di Napoli. Ne è nata un’opera da camera visionaria, non realistica, che richiama i primi suoni creati dall’uomo, scuri, senza violini ma con fiati come flauti, clarinetti, corni: gli strumenti della mitologia. E che fa interpretare Partenope da due diverse cantanti, per narrare le due anime di Napoli: quella mitologica e quella popolare».
Che avranno le voci di Jessica Pratt e Maria Agresta. Le tipiche voci femminili delle musiche di Morricone?
«Sì: anche qui, come nelle sue colonne sonore, Morricone tratta le voci femminili come fossero uno strumento. Per eseguire una linea di canto difficile, molto acuta, ci volevano due interpreti esperte, due voci importanti, poiché qui l’una fa da eco all’altra. E alternata alla loro c’è la voce recitante di un Narratore. Per l’orchestra è previsto addirittura uno spazio d’improvvisazione, sia pure entro la linea dettata dall’autore».
Un Morricone inedito, dunque?
«In tutti i sensi. Lontanissimo da quello che il grande pubblico conosce ma, al tempo stesso, sempre lui. Perché qui sta l’errore: Morricone non è un autore popolare opposto a quello colto. L’ uno confluisce nell’altro. Il compositore di Partenope è l’allievo di Petrassi, il musicista d’avanguardia e sperimentatore di Nuova Consonanza. Che però filtra tutto con l’esperienza cinematografica ».
Ma la musica di Morricone, allestita in forma semiscenica di Vanessa Beecroft, attraverso una serie di tableaux vivants, risulta sufficientemente teatrale?
«Questo è difficile dirlo. Lo scopriremo vedendo lo spettacolo. Morricone non aveva mai scritto opere; e purtroppo, non essendo più fra noi, non è possibile chiedergli come interpretare questa scrittura singolare. Il fatto però che la musica di cantanti e coro descriva i sentimenti, commentando l’azione che invece è in prosa, ricorda il meccanismo di una colonna sonora, che commenta l’azione di un film».
La storia di Partenope è legata ad un giallo: il San Carlo, che ora la battezza, nel 96 la rifiutò, provocando l’ira del Maestro, che si sfogò: «Al San Carlo non andrei nemmeno se mi dessero un sacco di soldi!».
«Io so io che l’opera fu effettivamente proposta al teatro; ma la ragione per cui il San Carlo l’abbia prima accettata e poi rifiutata rimane tutt’ora un mistero.
La mia personale ipotesi - ma è solo un’ipotesi - è che ci si aspettasse da Morricone una musica meno sofisticata, più legata al melodismo che l’aveva reso celebre. Intanto sono passati trent’anni. È questo il momento giusto per proporre un Morricone diverso».