Caro Granzotto, le è possibile soddisfare la richiesta di un bullshitbuster suo fedele lettore? Con grande strepito di tamburi un mese fa venne annunciato il Festival delle Scienze che si sarebbe tenuto a Roma, già sede del Festival del Cinema, con la partecipazione di uno stuolo di premi Nobel. Tema: luomo è la causa della morte del pianeta. L«evento» doveva svolgersi tra il 15 e il 20 gennaio, ma non ne ho visto un filo di cronaca. Abortì?
E chi lo sa, caro Germani. La crisi di governo ha fatto passare sotto silenzio lemergenza rifiuti (sono ancora là doverano), figuriamoci un caravanserraglio come il Festival della Scienza (nelle mani del sindaco di Roma tutto è varietà, tutto show, tutto «red carpet», anche la scienza). E questo nonostante lannunciata presenza di un plotone di premi Nobel, i quali ormai costituiscono una compagnia di giro: te li ritrovi dappertutto, anche dove meno te li aspetti, come ad esempio in Senato a puntellare governi fatiscenti. Quello che si sa, e lo si sa perché la «stampa democratica» ci aveva dato dentro, è che l«evento» romano deve esser stato di quelli da richiamare lattenzione di Telefono Azzurro. Era infatti rivolto alle creature, ai bambini, ai quali infliggere, come aperitivo, la visione di uno «spettacolo multimediale interattivo» dal titolo: Superbit contro Teddy boiler e il caldo assassino. E ciò con la «mission» di ficcare nelle testoline degli alunni delle scuole elementari che il responsabile di ogni mutamento ambientale, climatico o geologico del pianeta è luomo. Solo ed esclusivamente quello scellerato delluomo. Che deve smetterla di guardare la Terra dallalto in basso, mettersi ginocchioni ed adorarla in quanto Gea, la Terra Madre. Esattamente come gli apaches («nativi americani») adoravano Manitù.
Questo delluomo ultima ruota del carro nel creato, di più, questo delluomo presenza abusiva nel creato è un vecchio pallino dellambientalismo new age, il più pirla. Ma poiché pesca nellirrazionale e fa leva su quella zuppa di ignoranza, suggestione e timore che chiamiamo superstizione, è anche di facile presa nei cervelli meno attrezzati. Ciò che lo rende «trendy» da matti. Quale ne sia lessenza lo ha spiegato molto bene Kate Grenville, scrittrice australiana intervistata dalla Repubblica (e da chi altri, sennò?). Riferendosi ai mutamenti climatici provocati dalluomo brutto e cattivo, la Grenville rimpiange «la società aborigena vissuta in modo sostenibile per 60mila anni solo grazie ad una convinzione», e qui ci siamo, caro Germani: «Noi non possediamo la terra ma è lei che ci possiede». Ammettiamolo. Ammettiamo pure che la terra la fa da madre padrona e che noi le si debba scodinzolare. Ma se per rallegrarla il risultato è la «società aborigena», bé, no. Non ci siamo. Daccordo che non bisogna esagerare con la qualità della vita, i benefici del progresso nel campo delle scienze, della medicina, eccetera. Ci si accontenta anche di poco, noi. Però gli amici aborigeni saranno buoni e cari, saranno simpatici e a modo loro affascinanti, ma con tutto il loro «vivere sostenibile» più in là del boomerang non sono mai andati.
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