Muti autorevole custode dei «Due Figaro» celebrati da Mercadante

Felice Romani, librettista fra i maggiori del primo Ottocento, riprende le vicende di Figaro e Susanna, del Conte e della Contessa d’Almaviva, lì dove Da Ponte e Mozart li avevano lasciati. E' passato del tempo. Ne I due Figaro (1826), musica di Saverio Mercadante, la coppia nobile ha già una figlia in età da marito e da qui riprende il gioco degli intrighi ereditato da Baumarchais-Da Ponte e sublimato da Mozart. Mogli e mariti hanno già raggiunto la monotonia coniugale, donde le insofferenze.
Si inserisce tra loro Cherubino che rientra così nell’azione, seppur nelle mentite vesti di Figaro, al solo scopo di impalmare Inez, la Contessina d’Almaviva che per lui arde. Figaro, quello vero, la vuole ben maritata ad un suo complice col nobilissimo intento di spartirsi la dote. Sarà smascherato da Cherubino. E ritorna la cosiddetta normalità, cioè l’istituto del coniugio. A tutto questo abbiamo assistito, auspice Ravenna Festival, sempre prodigo di idee, nello splendore del Teatro Alighieri dalle ammirabili proporzioni. Fermo restando il deplorevole abbandono di gran parte delle nuove generazioni direttoriali della cura dei recitativi nel canto e degli accompagnamenti in orchestra, Riccardo Muti, grazie a Dio, è l’autorevole custode degli alti valori dell’esecuzione operistica che si basa appunto su questi fondamentali.
Merito dell’insigne amalgamatore l’effetto della compagnia nel suo insieme come di un organismo vitale e omogeneo. Di qui la difficoltà a stilare una gerarchia dei valori. Certo le eccezioni ci sono, come in tutte le regole. Parliamo di Antonio Poli (Conte) e Annalisa Stroppa (Cherubino), oltre che per il risultato, per il maggiore impegno dei ruoli. Per quanto sopra detto non possiamo trascurare Mario Cassi (Figaro), Asude Karayavuz (Contessa), Rosa Feola (Inez), Eleonora Buratto (Susanna), Omar Montanari (Plagio), Anicio Zorzi (Torribio), parte ognuno del prestigioso disegno direttoriale e della spumeggiante regia di Emilio Sagi, servito da scene (Daniel Bianco) e costumi (Jesus Ruiz) deliziosi. Non si può concludere la cronaca di questa bella esperienza senza anteporre il valore musicale di quanto ascoltato. Mercadante è Maestro di tutto punto, dallo strumentale al sapiente ordito delle trame vocali nei travolgenti pezzi d’insieme che lo accomunano non solo al modello rossiniano, ma all’altro caposcuola Cimarosa.


Questa esecuzione si trasferirà al Real di Madrid, città per la quale l’opera fu scritta. Così in Ispagna si accorgeranno che oltre a Boccherini e Domenico Scarlatti, è stato Mercadante a dimostrare come il folclore iberico possa essere adottato nel tessuto operistico con pertinenza e fantasia.

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