Muti e Boulez, bacchette stellari per l’omaggio musicale al sacro

RavennaTre bacchette stellari, infilate l’una di seguito all’altra, senza respiro: quasi si trattasse di un festival nel festival. Così, ieri sera, il direttore d’orchestra Christoph von Dohnányi e l’Orchestre de l’Opéra de Paris hanno inaugurato una terna di serate dedicate a direttori con blasone. Il ciclo prosegue oggi con Riccardo Muti alla testa della Cherubini e chiude domani con Pierre Boulez alla guida dell’Orchestre de Paris. Tutto ciò sta accadendo al Ravenna Festival, manifestazione che riavrà Muti (il 3, 5 e 7 luglio) per l’opera Domofoonte di Niccolò Jommelli, e il 12 con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, complesso particolarmente caro al Maestro. L’indomani, il Maggio e Muti saranno a Sarajevo, all’Olympic Hall Zetra, per il tradizionale concerto dei Viaggi dell’amicizia. E ciò a dodici anni dal primo approdo ravennate nella Sarajevo appena sfregiata dalla guerra.
Tre concerti legati da un doppio filo rosso. Da un lato, il sigillo di direttori che continuano a segnare, pur in modo diverso, la storia dell’interpretazione musicale. Dall’altro, l’impronta sacra del programma, un chiaro omaggio al tema prescelto per la ventesima edizione del Festival, dedicato alla Preghiera e al Rito.
Stasera, la Missa defunctorum di Giovanni Paisiello avrà un grembo sonoro con pochi pari, la Basilica di Sant’Apollinare in Classe, con la sua carica di misticismo. La Missa di Paisiello fa parte del progetto sulla scuola napoletana voluto da Muti che, martedì, ha portato questo gioiello anche in un altro edifico sacro ricco di storia quale il Duomo di Monza. L’appuntamento in Sant’Apollinare è sold out da tempo al punto che s’è aperta la vendita di biglietti non numerati per le navate laterali.
Ed è certo un evento vedersi Pierre Boulez (domani, al Pala de André) dirigere Sinfonia di salmi e Sinfonie per strumenti a fiato di Stravinskij, compositore che Boulez incontrò per la prima volta nel 1952, nella residenza di Los Angeles. «Parlavamo di musica. Era molto curioso, di una curiosità proiettata verso il futuro», rammenta il musicista. Boulez è decano della bacchetta, compositore, saggista, docente. E artefice di progetti memorabili, come l’Ensemble InterContemporain, complesso specializzato in musica contemporanea.
Insomma, Boulez, classe 1925, è un gigante del mondo musicale. Asciutto ed essenziale, impagabilmente cartesiano ed elegantemente cinico, Boulez ha sempre sostenuto e vissuto di musica contemporanea: un’impresa riuscita, e soprattutto a certi livelli, a pochissimi. Questo, sebbene non manchi di rimarcare che «ai tempi di Bach e Mozart la società e il pubblico sapevano bene cosa farsene di un musicista. Oggi no, oggi la società non ha alcun bisogno di un compositore di musica». Cinismo a parte, Boulez in Francia è una gloria nazionale e nel mondo una celebrità già ampiamente documentata nei dizionari di storia della musica. A Ravenna Boulez non dirige se stesso, ma pagine di Stravinskij che sembrano tradurre in musica le icone bizantine. Chiude con la Messa glagolitica di Leos Janacek, pagina barbarica e primigenia.
Accanto a una lirica ma assai profana Quinta Sinfonia di Caikovskij, ieri sera la sacralità trovava il suo riscatto nell’Offertorium per violino e orchestra di Sofia Gubaidulina, pagina che il violinista Gidon Kremer fece conoscere all’Occidente nel 1980, l’anno successivo all’inserimento della compositrice nella lista nera dei musicisti sgraditi al regime.

Il tutto secondo la lettura di Christoph von Dohnányi, ottant’anni il prossimo 8 settembre, direttore tedesco d’origini ungheresi, a lungo diviso fra gli studi di diritto e di musica. Lunga carriera tedesca e poi quasi un ventennio speso alla testa di due fenomenali macchine da guerra musicali, la Cleveland Orchestra (1984-2002) e la Philharmonia Orchestra di Londra (1997-2008).

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