Elsa Airoldi
da Legnago (verona)
Parla il sindaco Silvio Gandini. Si infervora Francesco Ernani, sovrintendente a Roma e responsabile dell'Associazione Salieri: «Non è un normale direttore d'orchestra ma un taumaturgo». E per Riccardo Muti è l'ennesimo, commosso riconoscimento. A lui, conteso dalle città del mondo, hanno appena consegnato le chiavi di Legnago, la patria di Antonio Salieri. Ha risposto da par suo. «Musica e cultura sono il nutrimento dello spirito. Il bene supremo che ci rende liberi. Il nostro Paese è grande perché grande è la sua arte, una ricchezza che non dobbiamo né possiamo tradire».
Qanto al Fus (il Fondo Unico per lo Spettacolo), la sera alle parole seguono i fatti. Nel delizioso Teatro Salieri, facciata liberty e superba camera acustica in legno africano fornita dall'esperta Maria Luisa Vaccari, il concerto della Cherubini celebra l'evento e apre la stagione. La sessantina di ragazzi schierati sul palcoscenico sono i giovanissimi che Muti, appassionata tempra di didatta, sta forgiando a sua immagine e somiglianza. Per consegnarli poi, con rara generosità, al loro destino di professionisti. E dire che se c'è un momento in cui potrebbe fargli gioco una giovanile tutta sua, sul modello della Mahler o della Mozart, è proprio questo. Ma lui è solo un maestro che insegna come fare musica insieme richieda lo stesso amore solitamente riservato ai fasti del solismo. L'ottica di valutazione della Cherubini è dunque quella dove assai più dell'aplomb tecnico, che c'è sebbene a tratti acerbo, contano stile, capacità di ascoltarsi, compiutezza di frasi che passano di sezione in sezione, senso del timbro e dell'agogica.
Muti, si sa, è estremamente rigoroso. Leva edifici levigati e superbi cui infonde il soffio dell'estro, del sentimento, della piccola trasgressione. Il suo modo di dirigere non cambia davanti al piccolo esercito di allievi particolari. Resta lo stesso che adotterebbe con i Wiener. E loro respirano con lui. Basta uno sguardo, un piccolo gesto, uno spostamento del busto. La comunicativa è irresistibile quanto la sapienza direttoriale. Tanto che da quei ragazzi riesce a tirare fuori esattamente ciò che è più suo. I nostri si cimentano con Salieri e Schubert. Del primo la Suite di danze coeve all'Europa Riconosciuta messe assieme da Otto Biba per il divertissement collocato alla fine del primo atto dell'opera. Di Schubert la Sinfonia n.8, Incompiuta, e n.4, La Tragica. La difficoltà è tangibile. Ma la Cherubini va, pulsa mossa dalle stesse intuizioni e intenzioni del direttore del quale è già una fedele fotocopia psicologica. Le danze si accendono nella furia ritmica o si placano nella struggente elegia che connota la numero 10, quella per oboe obbligato. La stessa ripetuta come bis. Tutte emanano la luce che ha reso inimitabile la pittura veneta. Schubert scorre con la sua vena piena di pathos. Ma declinato in modo che siano riconoscibili le tinte e le affinità che una lunga frequentazione del classicismo ha imparato a individuare. Muti è Muti. Ma la Cherubini concede già letture intessute e complesse. La platea si infiamma. La municipalità formula propositi.
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