Di nuovo in cielo. Se la bottega dove Dio lavorava, prima della creazione, si trovava a Spaccanapoli, la sua abitazione privata era invece sita ai Quartieri Spagnoli. Gli scugnizzi cresciuti che fanno la guardia agli angoli di Toledo lo sanno bene, perché loro stessi sono i discendenti di un popolo di dèi. Quando questo popolo si estinguerà, i Quartieri diventeranno la carcassa sulla quale si avventeranno le iene immobiliari. Allora vedrete come diventeranno belli, i Quartieri. E come diventeranno stupidi.
Di nuovo in teatro. Napoli produce teatro ovunque, perché il teatro è il modo in cui questa città si presenta non solo al mondo ma anche a se stessa. Durante una pausa della mia proménade su e giù per Toledo, siedo in piazza san Domenico Maggiore a un tavolino del caffè Scaturchio, una delle grandi pasticcerie italiane, nota soprattutto per la sua pastiera. Sono ospite del più caro tra i miei amici napoletani, l'impresario teatrale Mico Galdieri, probabilmente l'uomo più simpatico del mondo, anche lui - va da sé - figlio di qualche dio. Alla fine arriva il cameriere con il conto. Mico lo degna di un'occhiata. Si indigna.
«Bella novità, questa. Adesso bisogna pure pagare».
Dice che le cose vanno male. Si fa, si fa, ma non si vede niente. Il teatro qui è come il cielo. Il fiato delle iene è vicino.
Cinture. La coda dell'occhio non si lascia sfuggire l'insegna di un negozio di abbigliamento maschile a mt. 100. Nella foto pubblicitaria si vede un uomo grasso, dal ventre prominente, faccia rubizza, naso a punta, capelli ricci con qualche filo bianco. L'uomo tiene le mani nelle tasche della giacca di una tuta, mentre i calzoni sono normali jeans. Sotto l'immagine, la scritta: «MODA MASCHILE». L'attuale via Toledo (che è solo una parte della lunghissima via che conduce fino a Capodimonte) presenta un commercio a due velocità. Ci sono alcuni negozi eleganti incastonati tra moltissime bancarelle e negozi a buon mercato.
Gli articoli più venduti sono i bastoni da passeggio, le scarpe - soprattutto sportive - e le cinture. Migliaia, milioni di cinture. E di scarpe. E di bastoni, perché qui molta gente cammina zoppa, perché qui gli zoppi hanno ancora un posto nella vita di tutti, perché qui la vita viaggia a una velocità che permette agli zoppi di resistere. I due mercati paralleli sono il segno che qui a Napoli esiste ancora il popolo. Nel popolo i poveri e i benestanti si mescolano, vivono nelle stesse case, camminano per le stese strade, parlano la stessa lingua.
Spaccanapoli. Intorno a piazza Carità, Toledo cambia volto. Dopo aver tenuto i Quartieri a distanza dalla Napoli «civile», ecco che per qualche metro i Quartieri cadono addosso a Toledo, per poi allontanarsene. La zona pedonale è finita, mi immergo in un traffico africano. Per qualche metro sono a Nairobi. I negozi si popolano di insegne africane, che distolgono lo sguardo dalla bellezza delle case.
Ma ecco: poco oltre piazza Carità, via Toledo viene attraversata, tagliata, traumatizzata da una via diritta, stretta e piena di gente, che nel suo corso assume tanti nomi diversi (via Vicaria Vecchia, via S. Biagio dei Librai, via Benedetto Croce e altre ancora) ma famosa nel mondo come Spaccanapoli. Mai nome fu più appropriato. Non tanto perché la via divide in due la città, ma per il modo in cui la divide in due: di traverso. La gente cammina, stretta, lungo Spaccanapoli, traversando Toledo come se non esistesse nemmeno. Gli automobilisti lo sanno e fanno attenzione. È come se tutta la città precipitasse dentro Spaccanapoli, come in una fenditura del terreno. Ma se poi guardi verso occidente, scopri che questa fenditura diventa una rampa di lancio per il cielo.
Facce. Napoli è la città dei sosia. Passeggiando per Toledo, incontro infinite Titine De Filippo, almeno sette Mario Merola, pace a lui, e una dozzina di Luciani Moggi, tutti rigorosamente al telefonino. Le ragazze hanno la faccia da reginette del quartiere o del caseggiato, sono sensuali e sfacciate, cercano la volgarità senza trovarla.
Due ragazzotti sui vent'anni scambiano poche parole, ridacchiando, mentre guardano - chissà perché - la vetrina di un negozio di abiti femminili a basso prezzo, né belli né sexy. Camicione, vestaglione, tailleurs. Hanno la faccia dell'innocenza perduta troppo presto, perché quando si è poveri l'innocenza dura meno, e si trasforma in un sorriso strafottente.
Questi due ragazzi possono essere tutto. Studenti poco diligenti in libera uscita, custodi dei Quartieri in pausa, bravi ragazzi, marchettari. Potrebbero essere anche tutte queste cose insieme. Hanno l'aria di chi la sa già molto lunga, invece non è vero: la sanno lunga soltanto qui, appena fuori di qui sono solo bambini.
Il bellissimo mendicante. In via Toledo ci sono molti mendicanti, ma uno di loro è speciale. È un distinto, anziano signore vestito di nero, con la barba ben curata, che reggendo un capello di ottima qualità si avvicina ai passanti e, garbatamente, chiede se hanno qualcosa da offrirgli.
Il suo modo di ringraziare è commovente. Gli altri se ne stanno piegati sul cappello o sul barattolo a mormorare il loro «grazie» non a te, ma ai soldi caduti dentro. Lui no. Lui ringrazia te, guardandoti negli occhi, sentitamente ma da pari a pari. Così facendo, rende onore non al denaro ma all'uomo. Vi sembra poco?
Questo vecchio è il centro di via Toledo. Quale vita l'ha portato fin qui? Che anni sono stati i suoi anni? Per quanto dura, la vita non l'ha privato della sua dignità. Il dolore ha affinato i suoi modi, il suo sguardo. E noi sappiamo che questa cosa è quasi impossibile. Ha ragione il mio amico, lo scrittore Vincenzo Gambardella, quando sostiene che la marea di chiacchiere sulla «napoletanità» omette regolarmente l'elemento popolare decisivo: il cristianesimo. Che, poi, il cristianesimo s'innesti su elementi pagani, be', vivaddio, è la sua natura.
Ingegnere. In piazza Dante mi soffermo a guardare un'esposizione interminabile di bastoni da passeggio. È l'ora del pranzo; la negoziante tiene la chiave nell'interruttore elettrico, e guarda la claire mentre si abbassa. D'un tratto, un cestino atterra sulla testa della donna, mentre una voce dall'alto chiama:
«Ingegnere, ingegnere!»
La donna è spaventata. Guardo in alto e vedo una vecchietta su un balcone che regge un filo al quale è appeso il cestino.
Un signore accorre con un involto in mano.
«Niente paura signora» dice alla negoziante, mentre deposita l'involto nel cestino.
«Sa», risponde la donna, mentre la claire ricomincia a scendere «siccome qui ne succedono di tutte...».
La vecchia tira su il cestino ripetendo grazie ingegnere, e io mi domando quanti ingegneri, nella storia di Milano, hanno mai compiuto un'azione come questa. Ultimamente, direi nessuno.
Disgraziato! Ho camminato per Toledo due volte in su e due volte in giù. Toledo è lunga poco più di un chilometro. Nel Settecento era considerata la via più lunga d'Europa (forse contavano anche il tratto da piazza Dante a Capodimonte). Toledo è una strada antica, bellissima - chiedo scusa se non ho parlato della sua bellezza - ma la sua unicità sta nel fatto che la gente che la percorre possiede ancora qualcosa di antico, così che il rapporto strada-edifici-persone è diverso rispetto al resto del mondo: almeno fino a che non arriveranno le iene.
Torno al Gambrinus per un altro caffè. Un vecchietto, gentilmente, mi chiede se ne offro uno anche a lui, magari con un paio di pasterelle, possibilmente una dolce e una salata. Non vedo come potrei rifiutare. Poi mi ripaga spiegandomi il segreto del caffè, che non vi svelo: dovete andare anche voi al Gambrinus e sperare d'incontrarlo. Vi dico solo che ha usato la parola «ombra».
Mentre mi dirigo verso piazza del Municipio, davanti al teatro Mercadante, passo davanti all'agenzia Punto Snai, «scommesse ippiche e sportive». La porta è aperta, dentro è pieno di uomini. Proprio mentre passo io, un uomo scoppia in un pianto dirotto, qualcuno chiude la porta, ma da dentro sento distintamente queste parole: «Disgraziato! M'hai rovinato!».
Sono per me le parole del congedo, significano: vai via, la tua passeggiata è finita. Solo adesso mi accorgo di non avere controllato se io, mammata e tu erano ancora lì a camminare per Toledo. Qualcosa mi dice di sì. Sono solo io che non li ho visti.
(11. Continua)
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