Nascosto nel castello dei Windsor Il segreto della «tavola rotonda»

Gli archeologi stanno scavando per la prima volta sotto la residenza della famiglia reale inglese

Marco Meschini

C'è il fermento, nel cortile di sua maestà. Chissà se tutto quell'andirivieni di archeologi con pala e piccone, polveri d'epoca ed elmetti antinfortuni ha guastato il tè della regina. Forse no, perché le voci che si rincorrono da un corridoio all'altro del grande palazzo di Windsor lasciano trapelare un nome antico e leggendario: Artù, nientemeno.
Si dice che una nuova, straordinaria, scoperta sia stata effettuata nel bel mezzo del palazzo regale, con tanto di televisione al seguito e commentatore che ha potuto descrivere passo passo l'evento. Dopotutto è la prima volta che si possono eseguire simili scavi nelle residenze di sua maestà e la contrattazione su tempi e modi - e probabilmente diritti d'immagine - deve essere durata mesi. Il che merita un bell'annuncio secondo cui il castello di Windsor avrebbe svelato un edificio connesso con il mito di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda. Tanta agitazione per molto meno, in verità: a leggere con calma le dichiarazioni degli scopritori, a emergere è stata una costruzione rotondeggiante voluta da re Edoardo III nel XIV secolo per alloggiare degnamente i 300 cavalieri che costituivano il Garter, ovvero il celebre Ordine della Giarrettiera, fondato in pieno Trecento (1347) e corredato dal motto Honni soit qui mal y pense. Insomma la scoperta di questi giorni è senz'altro interessante ma solo per gli studi relativi a un'epoca tardomedievale che amava rifarsi all'antico e nutrirsi di immagini e miti arturiani.
È comunque di per sé notevole il ritrovamento di un edificio a pianta circolare dedicato a scopi laici se non profani, dal momento che nell'Occidente medievale il «tipo-rotonda» rinvia giocoforza al sepolcro di Cristo, ovvero all'edificio circolare voluto da Costantino a onore del Salvatore.
Non è del resto la prima volta che qualcuno prova a far passare per arturiane cose che non lo sono affatto. Uno dei casi più notevoli è quello dell'abbazia di Winchester che ospita nella Grand Hall una «tavola rotonda di re Artù» in legno, appesa in verticale a ridosso della parete a diversi metri di altezza. Ciascuno dei 24 posti che può ospitare è alternativamente verde o bianco, come volle re Enrico VIII nel 1522, il quale chiese anche che vi fosse rappresentato sopra un volto, cioè il suo (e non quello di Artù...), con i nomi di 24 cavalieri incisi in lettere d'oro. E si può aggiungere che la tavola - datata dall'esame al carbonio 14 tra XIII e XIV secolo - venne collocata a Winchester nel 1348, il che rafforza l'idea sopra esposta, ovvero d'una ripresa arturiana al tempo di Edoardo III.
D'altronde la fantageografia arturiana spazia da una contrada all'altra della Gran Bretagna, né si arresta alle sue sponde se è vero che una certa tradizione vuole che Artù sia sepolto sotto l'Etna in attesa di un ritorno trionfale. Il vulcano siciliano contende dunque all'isola di Man - che sarebbe per altri la Avalon di Artù - l'onore di ospitare i resti immortali di una delle figure più ricorrenti della mitologia europea, anche se l'abbazia dell'isola di Glastonbury vanta sin dal 1191 il possesso di tre sarcofaghi contenenti i corpi - ovviamente mortali - di re Artù, di sua moglie Ginevra e del figlio Mordred, salvo poi ricredersi e cancellare il nome di Mordred, figlio sì ma anche regicida e quindi parricida... Il fatto era che l'insigne e un tempo florida abbazia era stata distrutta da un incendio nel 1174 e i monaci avevano pensato di rifarsi una credibilità internazionale attribuendo a quei tre nomi leggendari i resti di qualche povero cristiano riscoperti durante i lavori di ristrutturazione.
Il mito di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda sembra così destinato a non esaurirsi mai, radicato com'è nel nostro subconscio di europei, ripreso ciclicamente da radio, televisione e cinema, libri, quotidiani e altro ancora. Una ragione c'è: la Tavola Rotonda, con il suo rimando ideale a una civiltà dell'uguaglianza, sta fissa al centro di un'epoca che conosceva a fondo le diversità e anche le disuguaglianze. E ancora: trovare «un» posto alla Tavola significava, per ogni cavaliere, trovare «il» proprio posto nella società, rifacendosi idealmente alla tavola del Graal (solo in seguito le due tavole vennero fuse e confuse) e quindi, in ultima istanza, a quella di Cristo e dei suoi apostoli. È per questo che il numero proposto per i partecipanti a quella Tavola è spesso di 12 o di suoi multipli, salvo riservare un numero extra per il cavaliere perfetto o per Cristo stesso.

Ma qualcuno ha elevato il numero a centinaia e anche migliaia di posti, perché in fondo tutti devono poter sperare di accedervi. Una cosa è certa, però: non si disturbi troppo a lungo la tavola di sua maestà a Windsor. È l'ora del tè.

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