«Nato in campo ma senza bandiera» La coalizione nel caos, il raìs resiste

Mentre i bombardamenti sulla Libia continuano e la coalizione dei volenterosi ancora non riesce a risolvere il problema del comando unificato, un istituto indipendente americano, il Center for Strategic and Budgetary Assessments, ha calcolato che la no-fly zone sulla Libia potrebbe costare solo agli Stati Uniti fra i 100 e i 300 milioni di dollari a settimana. Cifre che innervosiscono i membri del Congresso Usa attenti al bilancio federale ma che mettono di buon umore quelli sensibili alle esigenze dell’industria bellica. E negli Stati Uniti si registra anche una contraddizione fra il Pentagono, che ha comunicato che nella giornata di martedì la coalizione ha condotto sulla Libia 57 raid aerei, il numero più alto da quando sono cominciate le operazioni, e i comandanti americani sul terreno, secondo i quali le attività militari tendono a calare.
Probabilmente questa previsione sarà ulteriormente smentita, perché la Cia sostiene che le forze di Gheddafi, pur bombardate, non «mostrano segni di ritiro» da Misurata, Ajdabiya e Zawiya, città sotto controllo degli insorti. E anzi, a proprio a Misurata le forze del Colonnello avrebbero bombardato un ospedale. La coalizione ha risposto aprendo il fuoco sulla caserma bunker del raìs.
Dall’inizio dell’intervento, rende noto il Pentagono, gli aerei della coalizione hanno effettuato sulla Libia 336 voli e 108 raid.
Quanto alle ultime operazioni, l’ammiraglio americano Gerard Hueber ha assicurato che non ci sono state vittime civili, che la no fly zone si è estesa a tutta la costa libica e che nessun aereo di Gheddafi si leva più in volo. Ieri sono stati anche bombardati e distrutti, «per impedire che materiali segreti potessero cadere in mani sbagliate», i rottami dell’F15 caduto martedì.
Sul fronte diplomatico interno alla coalizione si registra il viaggio ad Ankara del comandante delle forze alleate in Europa, volato in Turchia per convincere Erdogan ad approvare i piani libici della Nato. Ma in serata il consenso del gendarme orientale dell’Alleanza atlantica ancora non era arrivato. E resta irrisolta la questione del «ruolo chiave della Nato», sul quale martedì sera sembravano tutti d’accordo. Insomma la questione del comando politico, che la Francia insiste sia affidato a una «cabina di regia politicao» aperto alla Lega Araba e che l’Italia invece vorrebbe dare alla Nato. Si va, pare, verso una soluzione con l’Alleanza atlantica in campo, ma senza bandiera. E poi rimane inderminata un’altra questione, anche più importante: quella del «per fare cosa». Depotenziare Gheddafi togliendogli il petrolio, come si fece con Saddam Hussein con la prima guerra del Golfo? Consegnare la Libia agli insorti di Bengasi? Dividerla in due ma senza il Colonello a Tripoli? Uccidere il raìs con una bomba intelligente? Farlo ammazzare da un sicario comprato al costo di una bomba intelligente? Costringerlo all’esilio? Offrirgli qualcosa per levarsi di mezzo?
A titolo di esempio. Il portavoce delle forze armate del Belgio, che partecipa all’intervento militare, dice che «mettersi al fianco dei ribelli non è nel nostro mandato». E, a conferma che i portavoce fanno quasi sempre i finti tonti ma qualche volta dicono - a modo loro - la verità, aggiunge che «altri Paesi della coalizione possono avere un’interpretazione diversa».
Volenterosi in ordine sparso e Nato bloccata.

Ma la Libia ha messo a dura prova anche la Ue, che è la faccia europea della medaglia atlantica, se alla vigilia del vertice di Bruxelles gli addetti ai lavori dicono che sul fronte della politica estera l’Unione è «totalmente allo sbando».

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