L'ammissione choc dell'ex Nas Lusi: Cts all'oscuro delle mascherine regalate alla Cina

Da Pechino arriveranno tonnellate di mascherine contraffatte e allegramente sdoganate. Oggi l'audizione di Martina, che per primo scoprì l'orrendo mercato

L'ammissione choc dell'ex Nas Lusi: Cts all'oscuro delle mascherine regalate alla Cina

Mentre a Bergamo i medici privi di mascherine e Dpi sarebbero morti pur di andare a trovare a domicilio i fragili contagiati dal Covid, il 15 febbraio l’Italia con il ministro degli Esteri Luigi di Maio regalava alla Cina 18 tonnellate di dispositivi certificati che sarebbero stati preziosissimi per evitare migliaia di morti al posto di quelle farlocche spedite proprio dalla Cina. E lo ha fatto all’insaputa della task force del ministero della Sanità.

Nell’audizione recentemente desecretata dell’ex comandante dei Nas Adelmo ricorda che alle riunioni della task force non se ne è mai parlato: «Ho preso appunti sulle riunioni, molto sintetici, poche parole per ricordarmi di ogni seduta. In pratica questa circostanza non è emersa mai, almeno quando sono stato presente io. Mai». Eppure, come ricorda proprio il deputato meloniano Francesco Ciancitto durante l’audizione, il regalo delle mascherine alla Cina è un fatto anomalo considerate le riflessioni emerse in task force nelle settimane e nei giorni immediatamente precedenti quella data proprio nel merito della carenza di dispositivi di protezione individuale: «Già nelle riunioni di gennaio si evidenziava la necessità di avere i dispositivi per la protezione, quindi mascherine ed altro, e il 15 febbraio 18 tonnellate di dispositivi partivano per la Cina. È una contraddizione, questa».

Il fatto ancora più sconcertante è che il tema della carenza di mascherine fu discusso in task force proprio il giorno prima della partenza del carico di dispositivi di protezione individuale verso Pechino, come ricorda il presidente della commissione d’inchiesta Marco Lisei (Fdi) all’ex segretario generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco: «Nel verbale del 14 febbraio vi siete domandati se c’erano, ed eravamo già nella fase 6 del piano pandemico del 2006. Il 14 febbraio nel primo verbale della task force ci si chiede se ci sono i dispositivi di protezione. E non ce n’erano. Il 14 febbraio». Sulla carenza di dispositivi individuali Lisei aveva messo alle strette anche l’ex direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito: «Sulla ricognizione dei dispositivi di protezione individuale? Qual è il primo giorno nel quale l’avete fatta, se l’avete fatta?». Ippolito aveva risposto genericamente. senza ricordarsi la data precisa: «Mi risulta che il giorno successivo ad una delle riunioni siano stati convocati e gli uffici del ministero hanno iniziato a cercare qual era la disponibilità di dispositivi di protezione individuale nel Paese».

Ma quello dei Dpi è un campo minato su cui rischiava di saltare l’intero Cts come conferma lo stesso Ippolito rispondendo ad una domanda della capogruppo Fdi in commissione Covid Alice Buonguerrieri: «Più volte abbiamo ipotizzato di “sminarci” da una situazione per cui, in una giornata fatta di 14-15 ore in un sotterraneo, da noi arrivava sul tavolo di tutto: se si dovevano chiudere gli stadi, se le partite si potevano far giocare a porte chiuse, se si potevano importare le auto, le mascherine, il trattamento delle ostie, le acquasantiere. Era una specie di porto di mare. Fu questo il motivo per cui, in questa come in altre situazioni, abbiamo chiesto che ci fossero degli esperti che rispondessero per noi a queste cose».

Nel verbale del Cts del 3 maggio 2020, letto dalla deputata Buonguerrieri, emerge infatti una circostanza a dir poco clamorosa e che chiama in causa presunte pressioni del commissario all’Emergenza Covid Domenico Arcuri proprio sulla validazione dei dispositivi di protezione individuale: «In apertura della riunione odierna - viene verbalizzato - si è svolta una accesa discussione sul ruolo e la funzione che il Comitato deve avere a supporto del ministro della Salute e del governo. Grande preoccupazione e profondo rammarico sono emersi da parte di tutti i componenti del Comitato, in ragione di alcune note pervenute dal commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 interpretabili come una delegittimazione del lavoro svolto dal gruppo in ragione di presunti ritardi da lui imputati al Cts.

Questi documenti possono essere letti come attribuenti responsabilità al Cts in toto per un’eventuale mancanza di mascherine sul territorio nazionale a far corso dalla giornata di domani. La discussione si è conclusa con la richiesta di porre all’attenzione del signor ministro la revisione del mandato del Cts, emancipando il Comitato da competenze che, come più volte sottolineato e ufficializzato, dopo la fine della fase emergenziale devono ritornare nell’alveo della gestione ordinaria. Numerosi membri del Comitato hanno ipotizzato anche di rassegnare le proprie dimissioni».

L’ammissione choc di Lusi sulle mascherine regalate alla Cina senza informare la task force e le pressioni sul Cts per i controlli sulle mascherine arrivano alla vigilia della deposizione in commissione Covid del funzionario delle Dogane Miguel Martina, prevista per oggi alle 13. Martina per primo si accorse del materiale scadente che veniva importato e sdoganato dalla struttura commissariale nonostante fosse contraffatto: aveva segnalato alle Dogane e al governo l’elenco di venditori di mascherine affidabili, rimasto lettera morta. E anche per questo sarebbe stato allontanato per ritorsione, come confermerebbe l’inchiesta per epidemia colposa aperta a Roma dopo la sua denuncia e la sentenza del tribunale del Lavoro che lo ha risarcito per il mobbing subito.

È proprio nel merito dell’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale durante la prima ondata che in commissione d’inchiesta si sta giocando un’importante partita. Che l’approvvigionamento fosse fondamentale lo sottolineò in commissione Covid anche Mauro Dioniso, dirigente dell’Usmaf, che sulla carenza di Dpi disse: «Se ce ne fossero stati di più... mi riferisco alle mascherine e anche ai guanti (rammento che non c’erano troppi guanti, ci siamo trovati un po’ in difficoltà), qualche volta abbiamo utilizzato guanti sterili, perché non c’erano guanti non sterili e c’era necessità di manipolare beni o di toccare persone, quindi era indispensabile che i nostri ispettori in periferia avessero i guanti».

Era stato lo stesso generale Lusi, durante l’audizione, a rivendica orgogliosamente come i Nas (in una occasione assieme proprio a Martina delle Dogane, prima del suo allontanamento) abbiano «sottoposto a sequestro, perché non erano idonei all’uso, quasi 10 milioni di dispositivi di protezione individuale (non solo mascherine, ma anche tute, guanti eccetera) che non erano conformi alle prescrizioni; 700.000 confezioni di igienizzanti, che non erano igienizzanti per niente; quasi 2 milioni di farmaci che non erano idonei alla cura e che venivano venduti, come lei giustamente ha detto, nelle piattaforme web». Tra questi dispositivi di protezione individuale sequestrati rientrano tre milioni di mascherine, che sono state sequestrate «perché non rispondevano ai requisiti previsti in ambito Europa; avevano tutte il marchio CE, che induce a ritenere che sia il famoso marchio autorizzativo che viene utilizzato in ambito europeo», ricorda il generale. Lo stesso raggiro che Martina aveva denunciato per tempo, rimanendone scottato.

Perché a causa della scarsità molti speculatori hanno provato ad inserirsi, riuscendoci grazie a un’interpretazione estensiva della norma, come aveva sottolineato nei giorni scorsi in commissione Covid l’allora direttore della Dogana di Fiumicino Davide Miggiano – aeroporto da cui transitava la maggior parte dei carichi - che avrebbe anche sollevato ombre sulla normativa emanata dall’allora governo di Giuseppe Conte e che a suo dire avrebbe determinato «un allentamento dei controlli a tutela della salute pubblica e a presidio delle norme tributarie». Nella sua deposizione Miggiano in sostanza disse che arrivava «un boato di roba», priva di controllo perché non si riusciva nemmeno a collegare la documentazione inviata per la verifica dell’idoneità dei prodotti».

«Aver trasformato così i confini italiani in un colabrodo incapace di arginare l’ingresso di mascherine inidonee finite sul volto di operatori sanitari, pazienti, forze dell’ordine e cittadini comuni e di chissà quanta altra merce inadeguata è un fatto gravissimo che pesa

politicamente sul governo Conte II», ribadisce la Buonguerrieri. Ma la domanda che oggi qualcuno potrebbe fare a Martina è: il governo Conte sapeva quello che stava avvenendo nelle Dogane? Presto potremmo sapere la risposta.

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