Roma - Reggio Emilia, profonda Calabria. Nel maggio 2009 alla processione per il Santissimo Crocifisso di Cutro, provincia di Crotone, c’erano molti candidati per il Comune di Reggio Emilia, in visita istituzional-elettorale. Strano? Nemmeno tanto, visto che l’enclave calabrese è numerosissima nelle città «padane» dell’Emilia Romagna. Ma di calabrese c’è anche dell’altro tra nebbie e tortellini, la ’ndrangheta. L’infiltrazione della criminalità nei gangli vitali dell’edilizia, dei cantieri e degli appalti pubblici è un dato di fatto in Emilia Romagna. Però le inchieste sono pochine.
«C’è un tappo, non si fanno indagini anche se gli episodi strani sono all’ordine del giorno - lamenta Angelo Alessandri, deputato «bossiano» e capo della Lega Nord in Emilia Romagna, nuovo serbatoio di voti leghisti tra i delusi dell’egemonia progressista -. Le inchieste giudiziarie partono da altre procure, non dalle nostre». La magistratura nicchia? «È un fatto», ma il motivo è tutto un mistero. Certo, in ambienti leghisti si ricorda di Antonio Soda, procuratore a Reggio Emilia dimessosi il giorno prima di essere eletto alla Camera con i Ds. O quello di Enrico De Nicola, già procuratore capo a Bologna, che archiviò un’inchiesta sulle consulenze della Regione Emilia Romagna, e subito dopo il pensionamento ha avuto una consulenza dalla Regione. Ma di qui a dire che la magistratura emiliana chiude volentieri un occhio ce ne corre, e noi non abbiamo intenzione di correre.
Ma allora forse capita che il potere politico locale «interloquisca» con i picciotti? «C’è omertà istituzionale. Non so – dice Alessandri – se ci sia una connivenza politica, non ho elementi per dirlo, ma di certo si è chiuso gli occhi su quel che stava succedendo». Quando si parla di ’ndrangheta «padana» il galateo istituzionale prescrive che si guardi in Lombardia, terra di centrodestra, ma non in Emilia Romagna, roccaforte Pd.
Eppure lì la ’ndrangheta prospera, come ha raccontato in diversi rapporti un esperto di mafia non certo «antipatizzante» con le istituzioni emiliane (che gli commissionano i rapporti stessi), come l’ex parlamentare Pds Enzo Ciconte. Eppure quando qualcuno, come gli esponenti della Lega, o il presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia Enrico Bini, sollevano il problema, vengono accusati di «razzismo contro i calabresi», o di «infangare» un territorio. «La verità è che la ’ndrangheta ha fatto grandi affari qui con il sistema dei subappalti, mettendo in piedi aziende dalla sera alla mattina e praticando enormi ribassi che mettono fuori gioco le imprese sane», ci spiega Bini. I grandi committenti, quelli che vincono gli appalti per le opere più importanti, in Emilia Romagna sono poi, molto spesso, le cooperative rosse. Il problema nasce appunto con i subappalti, in cui le molte ditte con sede in Calabria operanti in Emilia Romagna riescono a tagliare i prezzi anche del 30-40%. Sì, ma ditte pulite? Ogni tanto si scopre che non lo sono, ma il «tappo» e l’omertà istituzionale restano.
Proprio nei giorni scorsi Iren Emilia (sempre smaltimento rifiuti), Ausl e un Comune della provincia hanno dovuto revocare una serie di appalti pubblici perché la Prefettura non ha concesso i requisiti antimafia alle aziende appaltatrici. Qualche tempo fa si è scoperto che la Enia spa, municipalizzata dello smaltimento rifiuti di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, aveva affidato un appalto a una ditta calabrese poi finita sotto inchiesta in Calabria. La stessa Enia è stata oggetto di una cura dimagrante da parte dell’ex manager Ivano Strozzi (poi «trombato», pare per faide interne del Pd locale), che ha tagliato partecipazioni in una ventina di società inutili calabresi, siciliane e persino sudamericane. Responsabilità nei vertici politici? Nessuna, perché nessuna inchiesta ha puntato su quel versante.
Il versante su cui la ’ndrangheta ha speculato di più finora è quello edilizio, settore che investe molto da vicino la politica. A Reggio Emilia ci sono 7mila appartamenti vuoti, effetto di una bolla edilizia che ora presenta il conto alle istituzioni locali, a cui le imprese (molte calabresi) chiedono di acquistare tutto l’invenduto.
«È incomprensibile la posizione del sindaco Delrio (di Reggio Emilia, ndr) che arriva a ritenere “una questione secondaria” la trasparenza - dice il capogruppo leghista in Comune, Giacomo Giovannini-.
I sindaci non possono scrollarsi di dosso precise responsabilità, avendo a loro disposizione strumenti per verificare, per contrastare, per combattere». Però, nessuno si permetta di dire che il Pd emiliano «interloquisce» con la ’ndrangheta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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