Nell'ambito del dibattito sulla cultura a Genova, ancor prima degli interventi è bene sottolineare il senso profondo delle radici che ci legano alla nostra città (e proprio per questo è significativa la poesia di Maurizio Gregorini).
L'amore per la propria città si dice in molti modi, anche in quelli che suonano aspri. Così è anche l'amore per la propria madre: chi non le ha detto, in occasione di contrasti, anche cose sgradevoli delle quali poi si è pentito? Tuttavia se l'affetto c'è (sempre) ora in primo piano ora sullo sfondo, parlando di una città non ci si può che affidare al discorso razionale che si è intessuto e si viene intessendo con il nostro vissuto quotidiano (e quello di altri inevitabilmente). Avevo letto a suo tempo l'intervento del sig. Xavier Medolago Albani (che ha sviluppato in termini comparativi la realtà genovese con quella di altre città) e ora vedo la replica di Sergio Maifredi (che è tutta politica, compreso il riferimento alle traversie del noto regista costretto a recarsi all'estero per lavorare e la cui abitazione è collocata in una parte della città non propriamente fatta oggetto di cura da parte della civica amministrazione). Sono due giudizi articolati entrambi accettabili in riferimento al capoluogo ligure. Non si tratta di essere equidistanti, occorre solo rendersi conto che il discorso è più complesso e profondo (ad un punto tale che nessuno è in grado di esaurirlo davvero, sia che guardi Genova con l'occhio acuto di chi viene da fuori o che la interpreti essendo nato in loco e vissuto nel capoluogo ligure per gran parte della propria vita).
La Genova di cui parliamo è quella caratterizzata da un decadimento ora lento ora più accelerato. Essa è stata governata da 33 anni da una giunta di sinistra (salvo una brevissima interruzione nel 1981 con un fragile e poco incisivo ritorno al vecchio pentapartito). La sinistra stessa dunque è eroe e vittima (più eroe che vittima! Nel senso che è stata ed è un ripiego ad una situazione di difficoltà) di questa condizione strutturale alla quale solo in parte modesta ha saputo reagire, sforzandosi piuttosto di estendere la propria pervasività politica in modo da controllare il più possibile la città stessa e perpetuare così il proprio potere. Ma pervasività e controllo non possono far altro che appiattire una società civile che è venuta assumendo i tratti della complicità via via più estesa.
A questo punto sorge spontanea una domanda sulla predisposizione originaria dei genovesi a rivestire un simile discutibile comportamento. In altri termini la mentalità media del genovesato era incline ad accogliere e a perpetuare così a lungo tale atteggiamento maggioritario? Determinati tratti della storia ligure lo confermano, altri (minoritari) no. Ora, per quel che concerne il nostro vissuto, non c'è dubbio che la sinistra al governo della civica amministrazione, del consenso elettorale e delle clientele di riferimento si è, in un periodo difficile per l'economia e la società in genere, assicurata un potere caratteristico quale quello di una chiesa laica. Se Genova si restringeva quanto a ciclo economico di riproduzione (sempre meno allargata), la cultura non è stata da meno.
E si comprende benissimo l'atteggiamento di Sergio Maifredi che in qualità di regista teatrale vive la realtà di un'arte eminentemente politica e proprio per questo più esposta ai limiti di un certo clima che in città è diventato via via la norma livellatrice ed emarginatrice delle esperienze difformi dall'ideologia imperante. È vero che l'Italia (Genova compresa) non ha mai sperimentato l'orizzonte ristretto delle nazioni e delle città del «socialismo reale» e tuttavia solo gli ingenui potrebbero pensare che un certo clima non abbia allignato qua e là per il nostro paese. All'Italia (e a Genova) è capitato quanto ad orizzonti di libertà di vederseli decurtare come accadde alla famosa «pelle di zigrino» di balzacchiana memoria. Non vi è dubbio che una parte della popolazione ha incarnato un senso del gregge orientato in tal senso, dunque a beneficio della sinistra, irrobustendo il consenso già incarnato da quei «fedeli» che nel corso del tempo si erano aggregati per convinzioni dettate da idealità, opportunismo, utilità schietta.
Per chi scrive sicuramente una svolta politica è necessaria, non perché essa abbia facoltà taumaturgiche ma perché essa viene ponendo le premesse per l'instaurazione di un diverso orizzonte per la nostra città, esaltando quei tratti della mentalità genovese che per i decenni precedenti sono stati trascurati.
*docente al Liceo DOria
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