Nel Medioriente spaesato ora Israele cambia ruolo

I giovani musulmani non vedono più Gerusalemme come un nemico, ma come un modello di successo

Nel Medioriente spaesato 
ora Israele cambia ruolo

Ieri sera gli ebrei nel mondo (col dovuto anticipo o ritardo del tramonto del sole a seconda dei fusi orari) hanno celebrato il «seder», la cena pasquale che ricorda l’uscita degli israeliti dalla schiavitù d’Egitto, la fine del faraone, l’attraversamento miracoloso del mar Rosso e l’inizio della lunga marcia ebraica verso la Terra promessa. Sono avvenimenti che nell’epoca razionalista del diciannovesimo e parte del ventesimo secolo erano relegati alla leggenda e alla sola tradizione religiosa. Quest’anno riaffiorano nella coscienza individuale e collettiva ebraica con un simbolismo religioso carico di significato politico. Nel caso di Israele, diventato fulcro nolente o volente dell’ebraismo, il «seder» è occasione di ripensamento meno di un passato «miracoloso» che di un presente «straordinario». La rivoluzione araba continua in maniera sempre più violenta e sempre meno «gelsominica» a scompigliare regole di un gioco politico, sociale ed economico che parevano immutabili.
Una prima regola infranta è quella che stabiliva che nel Medio oriente non si può fare la guerra senza l’Egitto o la pace senza la Siria. Non è più valida perché l’Egitto non è più in grado di fare guerre e la Siria di fare la pace. Né con Israele né con gli altri paesi della regione.
Una seconda regola infranta è quella che fissava nella questione palestinese il centro dei conflitti locali e internazionali. Solo il presidente Obama, una diplomazia Onu impotente e gli intellettuali sinistroidi in Europa continuano a crederci. Nel mondo arabo-islamico dove la gente e i governi hanno altre questioni da pensare, la questione palestinese non sembra avere più molti sostenitori. È tuttavia ancora radicata in Israele dove continua a condizionare molti politici israeliani. Esitano a riconoscere le dittature arabe, anche quelle che mantenevano come l’egiziana rapporti con Israele alimentavano aggressive forme di anti sionismo e anti semitismo. La loro caduta può invece offrire allo stato ebraico grandi opportunità se correttamente comprese e sfruttate.

Una terza regola infranta era quella che sosteneva che salvo qualche tecnica agricola innovatrice, nulla era esportabile dal Israele ai suoi vicini. Chi segue i blog di giovani arabi si accorge di quanto grande sia l’interesse per i successi economici e tecnologici israeliani. Si accorge anche del modo in cui la popolarissima tv al Jazira insiste a pubblicizzare la maniera in cui la giustizia israeliana tratta i politici coinvolti in scandali: prigione per l’ex presidente dello stato e per un ministro delle finanze; licenziamento di un capo di stato maggiore per l’allargamento illegale di mezzo ettaro di terreno accanto alla sua casa di campagna; punizione di poliziotti corrotti; rifiuto del parlamento di cedere alle pressioni delle lobby economiche sullo sfruttamento delle fonti energetiche recentemente scoperte. «Vedete - è il messaggio implicito che Al Jazira invia quasi quotidianamente - come il nostro nemico tratta i suoi leader corrotti».

In altre parole - e questa sembra essere la quarta legge infranta - si ha l’impressione che almeno nell’ambiente giovanile e universitario arabo si tenti con estrema cautela, a discutere l’idea eretica, che Israele potrebbe essere un modello di sviluppo da imitare piuttosto che da distruggere. Questa non è certo la posizione dei Fratelli musulmani, delle vecchie élite asseriste e neppure dei generali che da queste rivolte hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare. Ma il fatto che non si brucino più bandiere israeliane nelle piazze arabe, che in qualche blog e facebook l’idea cominci a circolare e che nessuno osi più addossare la responsabilità di ciò che avviene al Mossad è una novità da non sottovalutare. Non giustifica ancora l’ottimismo.

Ma dovrebbe incominciare a calmare da ambo le parti reazioni pavloviane di paura, ignoranza e disprezzo reciproco. Ricordando che anche nel Medio oriente (come nel resto del creato) non c’è nulla di permanente se non l’impermanenza.

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