Dario Vassallo
Del «Faust» si sa di tutto e di più: capolavoro della cultura occidentale, da qualcuno paragonato per valore artistico e vastità concettuale alla «Divina Commedia», ha in pratica accompagnato tutta la vita di Goethe che riuscì a far convivere sotto lo stesso tetto dramma shakespeariano e tragedia greca, poema epico e ballata popolare. Molto meno conosciuta e teatralmente frequentata è invece la sua prima stesura, evidenziata già nel titolo con il suffisso «ur», che nella lingua tedesca sta appunto per «originario», «primigenio».
Ed è proprio l'Urfaust che questa sera, dopo l'esordio estivo al Festival di Borgio Verezzi, inaugura la stagione del Duse, co-prodotto dal Teatro di Genova e dallo Stabile del Veneto. E tuttavia sbaglierebbe chi dovesse attendersi uno spettacolo in qualche modo «classico» o tradizionale, basti citare i due elementi fondamentali che ne compongono la scena: un grande teatrino di marionette e un fondale neutro, pronto ad accogliere immagini e personaggi virtuali. È questa, infatti, la cornice scelta dal regista Andrea Liberovici che dopo il «Candido» di Voltaire consegna alle scene, ancora una volta, uno spettacolo che assomma in sé prosa musica e apporti multimediali, elementi fondamentali della sua ricerca artistica. Punto di partenza, una specifica richiesta avanzata da Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga, direttori dello stabile genovese, che lo hanno invitato a confrontarsi con un testo fondamentale del teatro: «L'idea - confessa Liberovici - mi ha stimolato subito, non ho mai fatto ricerca per chiudermi in una torre d'avorio ma ho cercato di dare linfa sempre nuova al lavoro in palcoscenico. Certo, occorreva un copione adatto che potesse accogliere le mie esigenze in maniera sufficientemente armonica».
È così che è partita la sfida: un classico che racchiude in sé una grande visionarietà ma affidato a due attori di tradizione, di quelli - e in giro non se ne trovano davvero molti - in grado di mettersi in discussione, di accettare una scommessa dai molteplici contorni, ovvero Ugo Pagliai e Paola Gassman (rispettivamente nei panni di Faust e di Marta) che si ritrovano a lavorare insieme per la prima volta con il Teatro di Genova: «Quello che ci ha convinto era capire se potevamo funzionare in questo contesto - afferma Gassman -. Perché affascinati dal tentativo di esprimere una vicenda così nota in maniera innovativa lo eravamo fin dall'inizio».
La storia narrata è quella universalmente nota dell'uomo di scienza che giunge alla maturità rendendosi sempre più conto dell'astrattezza del suo sapere e sogna di riconquistare la gioventù, ottenendola da Mefistofele (interpretato da Ivan Castiglione), evocato per magia. Inizia così un frenetico viaggio nelle gioie del mondo fisico, sintetizzate dall'incontro con Margherita (Kati Markkanen) che trascina verso la rovina sotto lo sguardo divertito dello stesso Mefistofele e l'interessata complicità di Marta: «L'assunto da cui sono partito - dice Liberovici - è di un Goethe che da piccolo ha visto un Faust per marionette rimanendone talmente colpito da farsi segnare l'intera esistenza. Così ho cercato di mettere lo spettatore nei suoi panni, regalandogli l'illusione di tornare bambino e trovarsi di fronte, appunto, ad uno spettacolo di marionette. Poi, dal mio punto di vista, Faust non è una creazione della fantasia ma davvero un uomo che come tale ha scelto un suo percorso di apparente conoscenza». «Un uomo - gli fa eco Pagliai - vecchio e non felice. Credeva, studiando, di arrivare alla pace interiore ma all'improvviso si accorge che il sapere non gli è servito a nulla.
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