Nella Casina rosa di Gavirate spunta il fantasma di Morselli

I fantasmi d’artista non sono spiriti qualsiasi. Serena Caiani vive nella «Casina rosa», l’eremo dove Guido Morselli (1912-1973) scrisse molti dei suoi libri, a picco sul lago di Varese, a Sasso di Gavirate, e racconta che ogni notte sentiva dei passi sul tetto: «Proprio sopra la mia stanza da letto. Era primavera, c’eravamo appena trasferiti alla casina, era il 2003. Andò avanti tre mesi. Puntuale. Da mezzanotte a mezzanotte e venticinque. Poi i passi cessarono. Che cosa era successo? Mio marito aveva costruito una staccionata per tenere lontano la gente che passava e molestava le rose, toccava i boccioli, impediva loro di sbocciare. Il fantasma si calmò. Piera Marchesotti, l’assessore di Gavirate che mi aveva suggerito di abitare qui, vide la palizzata e mi disse che ai tempi di Morselli ce n’era una uguale, forse per difendere le rose, ma era stata tolta».
Protette dalla palizzata le rose di Morselli sono tornate a sbocciare. È difficile pensare a una ghost-story più delicata di questa che vede coinvolto l’autore di Proust o del sentimento, raffinato ambientalista avanti lettera. Ma negli episodi ectoplasmatici occorre tenere i piedi per terra, sull’erba umida del prato, davanti alla «Casina rosa» dove il 23 maggio sarà aperto il museo Morselli, con foto d’epoca, libri donati da Adelphi e Nem, pannelli didattici e oggetti personali. E questo grazie alla passione del poeta Silvio Raffo e della studiosa varesina Linda Terziroli, che hanno dato vita non solo al museo ma anche al premio Morselli per romanzi inediti. Esiste anche il progetto di ripiantare la vigna e riesumare un rosso scomparso, il Sasso di Gavirate. Occorrono circa 100mila euro e l’intervento di privati.
«Siamo sicuri - chiede Linda - che il trambusto sul tetto non fosse causato dai ghiri, gli animali che, insieme a una banda di motocrossisti, spinsero Morselli a lasciare il suo rifugio sul lago, diventato un inferno di rumori»? «No, erano passi. E non abbiamo mai avuto ghiri qui. Vede questa finestra in camera da letto?», dice Serena dopo essere salita al primo piano. «In questo angolo gli obiettori di coscienza videro il fantasma. Era agitato, faceva sentire i suoi passi sulla scala di legno. Se la diedero a gambe e non sono più tornati a vivere qui. La casa restò vuota finché non arrivammo noi».
Fino a oggi la «Casina rosa» non recava più traccia della vita di Guido. L’unico suo libro che si trova nella casa, da lui stesso pensata e progettata, è un’edizione Adelphi di Dissipatio H.G., del 1977. Serena lavora al comune di Gavirate, è persona concreta, non certo impressionabile, ma crede al fantasma. Non ha mai dormito alla «Casina rosa» la notte tra il 31 luglio e il primo agosto. Quella in cui Morselli, tornato dalla montagna con l’amica Maria Bruna Bassi, trovò il manoscritto di Dissipatio H.G. rifiutato da Mondadori, si sedette nel giardino della villa di via Limido a Varese e si sparò. Era il 1973.
Angela Comodo è uno degli otto figli di Lorenzo e Antonia, che dal ’59 al ’73 lavorarono come contadini di Morselli. Ha 74 anni. È stata colpita da emiparesi al viso e vive a Sasso di Gavirate, nella casa dove i genitori tenevano le mucche e le galline dello scrittore e la cavalla fulva con cui scendeva in paese al caffè Veniani e si sedeva sempre allo stesso tavolo per scrivere. «Quando si seppe del suicidio io, mia madre e la Bassi salimmo per prendere i manoscritti che Morselli le aveva affidato», ricorda Angela. «Riempimmo sacchi e federe di fogli. C’era un cassetto con una lettera della Bassi e delle foto un po’ osé con diverse donne. Lui aveva ordinato a mia madre di bruciare tutto. La Bassi era gelosa e le prese.

Lui aveva avuto molte donne, era un signore, una persona distinta». E perché, secondo lei, si è suicidato? Qualcuno ipotizza per dissidi con la Bassi... «No. Voleva farla finita perché gli cestinavano tutto. Da tempo lo ripeteva a mio padre».

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