Esce strisciando dalle viscere della terra, nano e deforme, e tenta inutilmente di sedurre le  tre figlie del Reno. Scornato le deruba dell'oro che custodisco e, rientrato nel suo regno,  schiavizza gli altri nibelunghi, compreso il fratello Mime. Crogiolandosi dell'enorme potere  raggiunto con l'Anello e l'Elmo magici. Un cattivo perfetto, a tutto tondo Alberich, «deus ex  machina» che nell'antefatto della tetralogia «L'oro del Reno» (ultima replica alla Scala sabato  29 maggio) mette in moto l'intera saga dell'«Anello del Nibelungo». Ma non fa di meglio Wotan,  bugiardo e sottaniere come Giova o Zeus, suoi alter ego romano e greco: dopo essersi fatto  costruire il Walhalla tira a fregare i Giganti. Gli stessi poi si ammazzano l'uno l'altro per  avidità, Loge tesse inganni e trame, Mime è pronto a vendersi il fratello Alberich, le altre  divinità temono di perdere l'immortalità.
 Insomma, nessuno è innocente nella monumentale tetralogia scritta da Richard Wagner tra il 1848  e il 1876. A partire proprio da Flosshilde, Welgunde e Woglinde che deridono le profferte  d'amore di Alberich con atroce leggerezza. Stessa leggerezza dimostrata poi spifferando tutto al  loro sfortunato pretendente: «Noi custodiamo uno sterminato tesoro d'oro. Con esso si può  forgiare un anello che conferisce il potere assoluto e un elmo che consente di diventare  invisibili oppure mutarsi i qualsiasi forma desiderata. A patto si rinunci all'amore». Ma  Alberich, all'amore deve già rinunciare, e non per sua scelta, quindi tanto vale accontentarsi  del potere.
 Nel frattempo i due Giganti Fasol e Fafner, terminato di costruire il Valhalla, chiedono al  committente Wotan, principale divinità germanica, il prezzo della loro fatica: la cognata Freia. Bella e giovane, la Venere germanica, ma soprattutto conosce il segreto delle mele che danno la  vita eterna. E forse proprio per questo la sorella Fricka, la Giunone tedesca, chiede al marito  di rinnegare l'impegno, mentre gli altri suoi fratelli, Donner (signore del tuono) e Froh (dio  della primavera) impugnano le armi per impedire il patto scellerato. Ma Wotan li ferma, non può  venire a meno della parola data, altrimenti perderebbe automaticamente il suo potere.
 E così interviene Loge, astuto e perfido, una sorta di Mercurio, solo molto più viscido e losco. Lui stesso aveva proposto a Wotan quella sorta di «pagamento in natura» tanto poi, un modo di  ingannare i Giganti lui l'avrebbe escogitato di sicuro. E ora deve trovarlo, e su due piedi, per  evitare il castigo di Woiatan. Così propone ai Giganti l'Oro del Reno, insieme ad Anello ed Elmo  magico (chiamato Tarnhelm) nel frattempo forgiati, al posto di Freia. Parte dunque insieme a  Wotan per il regno dei Nibelunghi dove, si allea con Mime, a sua volta spinto alla  collaborazione, dalla volontà di vendicarsi e dalla speranza di mettere le mani sul tesoro. Tornati dalla loro impresa banditesca, pagano dunque i giganti che subito litigano per il  bottino. Lo scontro fratricida viene risolto da Fafner che uccide il fratello Fasolt. Il resto  nelle successive tre stanze, con altri inganni e altri delitti.
 Già nell'antefatto, dunque non un solo personaggio agisce per motivi men che abbietti. Chi vuole  l'immortalità, o il potere, la vendetta oppure banalmente salva la pelle. L'amore non sembra  invece interessare a nessuno. O meglio. Interesserebbe ad Alberich, ma gli viene negato da tre  ragazze frivole e crudeli. Gli fanno gli occhi dolci, lo stuzzicano, a turno si promettono  esplicitamente, confessando di desiderarlo. E dopo averlo trattato come un ridicolo trastullo,  lo invitano a riflettere sulla sua credulità.
Nell'Oro del Reno tra avidi giganti e dei meschini solo Alberich vibra di passioni
Chi teme di perdere il potere, chi l'immortalità chi la vita. Il nano deforme invece tenta di conquistare le Figlie del Reno. Deriso, si infuria e per punirle le deruba del tesoro. «Perderai l'amore» lo ammoniscono. Curiosa maledizione visto che proprio le tre ondine con il loro rifiuto gli anno già precluso ogni affetto
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