«Nessuno tocchi Abele» E diamo a Caino ciò che gli diede Dio

Se la Svizzera si sta ponendo la domanda di consultare la popolazione sull’eventualità di riportare in auge la pena di morte, vuol dire che la situazione di esasperazione nei confronti di fatti orrendi ha toccato limiti altissimi e fa riflettere, perché significa che la democrazia ha portato a un degrado insostenibile il rispetto tra gli esseri umani. Non è facile capire cosa sta succedendo, ma è evidente che ormai di fronte a fatti eclatanti su cui ormai si fa soltanto della cronaca come se fosse tutto normale, prima o poi qualcuno si pone il problema di intervenire. Come? Nel chiedere un referendum sulla reintroduzione della pena di morte. Si può dire che è aberrante il solo pensarlo, ma fatto sta che la reazione è necessaria. Cosa si dovrebbe dire a proposito del camionista romeno che passa sopra al corpo di un cittadino italiano come se niente fosse, cosa si dovrebbe dire a chi ti uccide un parente perché guida strafatto di droga o di alcool... che cosa si deve dire se la giustizia terrena non punisce più con criterio? Insomma dove stanno le colpe? È forse la mancanza del timore di Dio? È forse la mancanza di una capacità di fare giustizia da parte di chi la deve fare? Se la gente chiede il ritorno della pena di morte è possibile cominciare a pensare che c’è qualcosa che non quadra sui piatti di quella bilancia?
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Il referendum sull’introduzione in Svizzera della pena capitale - da infliggere esclusivamente a chi «commette un omicidio intenzionale o un assassinio, in concorso con atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale o violenza carnale» - non si farà, caro Zanella. Ritenendo d’aver già conseguito un buon risultato, quello di indurre l’opinione pubblica a prendere atto delle gravi manchevolezze della giustizia nei casi di delitti a sfondo sessuale non avendo i familiari delle vittime «alcuna possibilità di esporre le proprie ragioni durante i processi, dove sono ridotti al ruolo di spettatori», il comitato promotore ha infatti rinunciato all’iniziativa. La cosa interessante, però, è che la proposta aveva superato l’esame preliminare della Cancelleria federale, con il relativo benestare alla raccolta delle centomila firme necessarie. Significa che in Isvizzera l’arbitrato popolare è tenuto in gran conto, a differenza di quanto accade in Italia (non parlo semplicemente degli esiti referendari disattesi, ma proprio del fatto che un referendum sulla pena di morte è da noi inammissibile non nutrendo, il potere, piena fiducia nella facoltà raziocinante e politicamente corretta del corpo sociale). Se il referendum fosse stato indetto ed io fossi stato cittadino svizzero avrei senz’altro votato «sì», caro Zanella. Un «sì» convinto. E non mi avrebbe certo creato problemi di coscienza l’appartenenza al gregge della Chiesa cattolica, apostolica e romana. Se Gesù disse ai suoi discepoli - Luca, 17; 1,4 - «Guai a colui che mena scandalo: meglio sarebbe che gli sia messa al collo una macina di mulino e fosse gettato nel mare piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli», posso immaginare cosa avrebbe aggiunto per chi i piccoli li massacra dopo averne abusato. Né mi sarei fatto influenzare dai piagnistei delle anime belle che si riconoscono nel «Nessuno tocchi Caino». Perché va bene, ma Abele? «Nessuno tocchi Abele» mi pare che come imperativo morale venga prima di quello di non toccare chi Abele ha ucciso.

E poi d’accordo, non tocchiamolo, Caino, per carità, ma destiniamogli la stessa sorte che Dio gli riservò: marchiando il reo, a fuoco e sulla fronte, con la scritta del suo crimine scellerato. Veda poi lui come cavarsela fra la gente.

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