Il Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles è l'ennesimo Vertice dell'«ultima chance». I capi di Stato e di governo si riuniscono per uscire dall'impasse sul bilancio pluriennale dell'Ue, dopo il fallimento del Consiglio europeo di giugno. La presidenza britannica ha presentato ieri la sua ultima proposta negoziale, ben al di sotto delle aspettative e delle necessità di un'Europa che vuole essere protagonista nel mondo di oggi. Poco importa. Ma la crisi che si è aperta con il doppio «no» francese e olandese al Trattato costituzionale impone un accordo, anche un accordo minimo, perché altrimenti l'Ue non potrà affrontare le sfide che ha di fronte a sé, in primis quella della globalizzazione. Per come si è sviluppato il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013 - i britannici ancorati al loro sconto, i francesi inamovibili sulla Politica Agricola Comune - è legittimo che questa fase finale sia caratterizzata dal prevalere degli interessi nazionali. L'Italia fa bene, dunque, a imporre le sue linee di confine, oltre le quali non può dare il suo consenso.
Ma l'Europa non deve lasciarsi sfuggire l'opportunità venutasi a creare con questa crisi: quella di una seria e ampia riflessione sulle sue priorità, innanzitutto di politiche e, quindi, di bilancio. Il primo ministro britannico, Tony Blair, che ha avuto la presidenza di turno dell'Ue in questi sei mesi, ha indicato a giugno il percorso di questo dibattito, senza tuttavia riuscire a incidere nel negoziato contingente sul bilancio 2007-2013. In sostanza, se vogliamo superare l'impasse europeo, tanto interno quanto internazionale, è necessario togliere il tappo della Politica Agricola Comune (Pac), che sta impedendo all'Europa di darsi una strategia interna per il suo futuro e di essere protagonista sulla scena mondiale. Il problema europeo non è - come hanno sostenuto molti - quello contabile del rebate, cioè lo sconto al bilancio comunitario di cui beneficia il Regno Unito dal 1984 per compensare la sproporzione tra versamenti e entrate all'Ue. Il problema è di scelte politiche che, ancora oggi, sono quelle della fondazione della Comunità europea. La Pac, a cui sono riservate quasi metà delle risorse del bilancio europeo, cinquanta anni fa era essenziale alla costruzione dell'Unione: era stata il collante economico che aveva reso il Vecchio continente autonomo, che ha permesso a un'agricoltura arretrata di svilupparsi e di far uscire dalla povertà intere aree dell'Europa. La Pac è stata motore di coesione e equilibrio sociale e catalizzatore dell'Unione europea come la conosciamo oggi. Ma, da alcuni anni, la Pac è diventata anche la palla al piede dell'Europa e dei suoi rapporti con il resto del mondo.
Basta vedere quanto sta accadendo alla riunione ministeriale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio in corso a Hong Kong. Il Round di Doha - lanciato all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001 per permettere ai Paesi più poveri, in cui è più alto il rischio di rancore nei confronti del mondo sviluppato, di beneficiare dei vantaggi della globalizzazione - è sull'orlo del fallimento a causa della Politica Agricola Comune europea. I Paesi in via di sviluppo e quelli più poveri chiedono all'Europa e agli Stati Uniti di porre fine al loro protezionismo agricolo per poter accedere ai loro ricchi mercati e smettere di subire le pratiche di dumping. I consumatori occidentali avrebbero tutto da guadagnare in termini di prezzi dei prodotti agricoli, mentre Ue e Usa potrebbero beneficiare di una liberalizzazione del commercio nel settore dei beni industriali e dei servizi. Gli americani, che in termini di protezionismo non hanno nulla da invidiare a tutti gli altri, hanno avanzato una proposta di riduzione di dazi e tariffe sull'agricoltura molto ambiziosa. Gli europei, per contro, stanno litigando tra di loro perché la Francia non vuole assolutamente toccare i suoi privilegi agricoli. In questo contesto, l'Ue si pone fuori dalla dinamica globale. L'Europa non riesce ad essere interlocutore di nessuno: le potenze emergenti - India, Brasile e Cina - non la considerano un soggetto di politica internazionale credibile; i Paesi più poveri - in particolare l'Africa - vede l'Europa come un continente egoista, incapace di rispettare le sue promesse in termini di sviluppo.
Sul piano interno, la Politica Agricola Comune così come è oggi fa sì che quasi metà delle risorse europee vengono destinate a finanziare un settore che occupa il 5% della popolazione e produce meno del 2% del reddito europeo. A danno - ovviamente - delle risorse per la crescita economica europea. La cura per i venti milioni di disoccupati e la stagnazione economica è conosciuta da tempo. Per rilanciare l'Europa è necessario ridurre al minimo i sussidi all'agricoltura, riservare i fondi strutturali ai Paesi più poveri del continente e realizzare un più forte investimento nella Ricerca e Sviluppo e nell'insegnamento superiore. Tutto questo non si può fare perché esiste il totem della Pac. In questo senso l'unico tentativo di leadership e di ragionevolezza è venuto dal Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che per primo ha avanzato la proposta di una parziale ri-nazionalizzazione della Pac attraverso un meccanismo di co-finanziamento.
La sfida è molto alta e il negoziato di oggi e domani al Consiglio europeo può permettere di cominciare questo percorso. La Commissione europea ha proposto una clausola di revisione generale delle priorità di bilancio per rimettere in discussione tutte le entrate e tutte le spese, adattandole alle necessità del mondo moderno e della globalizzazione.
Renato Brunetta
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