Ángela de la Cruz

Il compianto Alfredo Cattabiani dedica pagine struggenti del suo Santi del Novecento (Rizzoli) a questa suorina di Siviglia, morta ottantenne nel 1932 e il cui corpo si conserva incorrotto. Si chiamava Ángela Guerrero y González, figlia di un lanaiolo e di una cuoca. Tra fratelli e sorelle erano in quattrordici in casa, più i genitori. Ángela imparò appena a leggere e scrivere, poi fu messa a lavorare come calzolaia in una modisteria. Le compagne la chiamavano affettuosamente zapaterita negrita y tontita (ciabattina neretta e scemotta) per via del colorito e della complessione gracile. Solo che, quando recitavano il rosario, quella talvolta levitava a un palmo da terra. Ángela provò a entrare nelle carmelitane ma non la presero per via della sua salute precaria. Provò allora con certe suore che si occupavano di ragazze madri e trovatelli ma dovete uscirne subito per i continui e immotivati attacchi di vomito. Tornata a fare la calzolaia ebbe la visione di Cristo in croce con accanto un’altra croce, vuota. Capì che era la sua e ne parlò col suo confessore. Questi le disse di tenere un diario spirituale e la aiutò nel 1875 a fondare le Hermanas de la Cruz, in cui lei prese il nome di sor Ángela de la Cruz.

Le sue suore divennero per gli andalusi le Hermanitas de los pobres, perché andavano a due a due a soccorrere i bisognosi e vivevano di elemosine loro stesse. A intitolare una strada di Siviglia alla santa fu, paradossalmente, la seconda repubblica anticlericale, con la motivazione che sor Ángela de la Cruz non apparteneva tanto alla Chiesa quanto a tutta l’umanità.

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