Se il 27 marzo, quattordicesimo anniversario della storica vittoria sulla «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto non fosse un giovedì, sarebbe per la (quasi) rinata Casa della Libertà il giorno ideale per nuove elezioni. Dal momento che bisogna per forza andare alle urne la domenica, Berlusconi e alleati dovrebbero puntare su una data vicina: il 30, o al massimo il 6 o il 13 aprile. Le ragioni di tanta fretta sono diverse. Primo, se si ricorresse alla soluzione del governo tecnico o istituzionale, con il mandato di cambiare la legge elettorale e dare più forza allesecutivo, si perderebbe almeno un anno e nella situazione in cui si trova, lItalia non può permettersi di restare così a lungo senza una guida politica Secondo, non cè nessuna garanzia che questo ipotetico governo di larghe intese, chiunque lo guidi, riesca in quello che finora non è riuscito a nessuno, cioè mettere daccordo grandi e piccoli partiti su una nuova legge elettorale, una nuova legge sulle pensioni o addirittura su un progetto sia pur ridotto di riforma costituzionale: si rischia perciò di galleggiare alla meno peggio per dodici mesi, solo per ritrovarsi al punto di prima. Terzo, se i sondaggi sono veri, a primavera il centrodestra vincerebbe con un tale margine che anche con il famigerato porcellum avrebbe in entrambe le Camere una maggioranza sufficiente per governare; ci sarebbe poi tutto il tempo per apportare alla legge le correzioni opportune, mentre se si rinviasse lo scioglimento delle Camere al 2009 senza avere cambiato nulla, leffetto Prodi svanirebbe e ci sarebbe di nuovo il pericolo di un eccessivo equilibrio tra i due schieramenti.
Detto questo, è più che comprensibile che Prodi consideri il voto anticipato «una tragedia» e che tutto il centrosinistra, lacerato dagli ultimi avvenimenti e bisognoso di tempo per ristrutturarsi, punti su una soluzione ponte. In questa direzione preme anche Confindustria, che con i governi tecnici si è sempre trovata bene.
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