Marianna Bartoccelli
da Roma
Anche se ai tempi supplementari, la riforma sull’inappellabilità è diventata legge. Stavolta il numero legale al Senato non è mai mancato e i senatori, malgrado il Parlamento sia stato già dichiarato sciolto, si sono ritrovati a Palazzo Madama per definire le leggi rinviate alle Camere dal Capo dello Stato (come è il caso dell’inappellabilità), i decreti legge da convertire e quelli di ordinaria amministrazione.
Così in 159 (55 i no dell’opposizione), hanno definito l’ultima delle leggi sulla giustizia approvate da questa maggioranza, malgrado la contestazione sino all’ultimo comma dell’opposizione. Per tutto il pomeriggio di ieri la litania di richiesta «a quindici colleghi di sostenere la richiesta del voto elettronico» o quella «a dodici per sostenere la verifica del numero legale», non è riuscita come la volta precedente a bloccare una legge che il presidente Pera ha definito «sacrosanta» e una «delle più belle leggi sulla giustizia fatte in questa legislatura».
Da oggi, come prevede la legge chiamata Pecorella (dal nome del relatore del disegno di legge), i gradi di giudizio saranno due. Almeno per quei procedimenti che si concludono con l’assoluzione in primo grado. Il pm, che ha visto bocciata la sua accusa dal giudice, non potrà ricorrere in appello come è stato fino ad oggi, tranne nei casi in cui emerge una nuova prova considerata «decisiva». Il ricorso in Cassazione dovrà limitarsi alle questioni di legittimità e gli emendamenti fatti tendono, in ossequio ai rilievi del presidente Ciampi, ad evitare che la Cassazione diventi un secondo grado di merito. Per quanto riguarda i processi civili, il ricorso in appello è previsto per il risarcimento danni. Saranno considerati inammissibili all’appello anche gli appelli pendenti. In questi casi i pm avranno 45 giorni per convertirli in ricorsi di Cassazione. Questa è una delle norme più contestate dall’opposizione perché consente a molti processi ritornati all’appello su rinvio della Cassazione dopo una sentenza di assoluzione di primo grado e di condanna di secondo, di non essere più sottoposti a gradi di giudizio. Tra questi procedimenti molti riguardano politici assolti in primo grado e poi condannati in secondo, come è il caso di Calogero Mannino, l’ex ministro democristiano, che dopo un lungo periodo di carcere venne assolto in primo grado per poi essere condannato in secondo. Mannino adesso è in attesa dell’appello dopo il rinvio della Cassazione. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, i ricorsi già pendenti in Cassazione potranno essere integrati con i nuovi motivi. La votazione finale è avvenuta malgrado le contestazioni dell’opposizione che hanno esposto un cartello con una pecorella con il volto del presidente della Commissione giustizia, guardato benevolmente da Berlusconi, quest’ultimo vestito da Napoleone. Subito dopo l’approvazione i commenti hanno ripercorso uno schema già noto. Applausi dai penalisti. «Una legge che rispetta i principi del giusto processo» è il commento del presidente di Unioncamere, Ettore Randazzo. Pollice verso dei magistrati. «Purtroppo era prevedibile» commenta Virginio Rognoni, vicepresidente del Csm. Secondo il presidente dell’Anm, Ciro Riviezzo il nuovo testo «non sembra migliorato e le modifiche non rispondono nemmeno ai rilievi del Capo dello Stato». Parere simile dall’opposizione. Dal senatore Calvi a Nando Dalla Chiesa la legge viene considerata una «grave violazione del sistema democratico, e come molte altre leggi, scritte nell’interesse di una sola persona». Soddisfazione invece nella Cdl.
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