Mimmo Di Marzio
Tra le intuizioni di Pier Paolo Pasolini ci furono i podèmi, metafora calcistica dei fonemi. Il football, che lo scrittore-regista definì «l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», era infatti per lui un linguaggio perfettamente sovrapponibile a quello scritto-parlato, laddove la combinazione dei podèmi formano le parole calcistiche (cioè i passaggi), e la sintassi si esprime nella partita, che è «un vero e proprio discorso drammatico». L'amore per il calcio, l'autore di Accattone lo manifestava appena poteva: sui campetti della periferia romana, così come nelle partite ufficiali della nazionale calcio-attori fondata con l'inseparabile Ninetto Davoli, che in formazione annoverava il giovane attore Franco Citti, presente in quasi tutti i cast di Pasolini, il cantante Bruno Filippini, l'umorista Mario Marenco, Raimondo Vianello e altri valorosi.
Pasolini giocava ala sinistra, «ma tirava bene anche di destro», ricorda Davoli che imparò a scoprire il calcio a 16 anni proprio grazie al maestro. «Sono cresciuto in una borgata romana, al Prenestino, dove il pallone era sinonimo di oratorio. Io però con quei preti non sono mai andato d'accordo». Con Pier Paolo era diverso, lui che un giorno dichiarò in un'intervista ad Enzo Biagi che il football, dopo la letteratura e l'eros, è il più grande piacere della vita. A 52 anni col pallone ai piedi sembrava un ragazzino, dotato anche di una discreta tecnica. «Lo invidiavo per quel "passetto" che copiava dal leggendario Biavati, mentre io giocavo in difesa con la maglia numero tre e tutt'al più potevo ricordare Gattuso. Anzi, essendo già allora romanista, direi Francesco "Kawasaki" Rocca...».
Pasolini, Ninetto l'aveva conosciuto che aveva appena 15 anni sul set della Ricotta, dove lavorava il fratello Marco come falegname. «Mi disse: vieni che ti presento il regista. Pasolini mi guardò con un sorriso dolce e mi fece una carezza sulla testa. Un bel giorno mi mandò a chiamare per una particina nel Vangelo secondo Matteo». Da allora in poi il riccioluto ragazzo di borgata sarà presente in quasi tutti i film del regista bolognese, tra cui Uccellacci e uccellini, Teorema, Il Decameron, Amore e rabbia. Un sodalizio che si estendeva anche al di qua delle riprese, dalla scelta degli attori alle sceneggiature, fino al montaggio. Provini quasi mai, perchè il cast proveniva in larga parte dalla strada, il luogo preferito dal regista. «Quando eravamo in giro, soprattutto nei quartieri popolari, Pier Paolo addocchiava una faccia che gli pareva interessante e mandava avanti me con la scusa di chiedere un'informazione. Restava fermo a cinque sei metri di distanza e, dietro la montatura dei sui occhiali, scrutava le reazioni mimiche, i gesti dell'ignaro candidato. Se gli piaceva si avvicinava, altrimenti mi faceva segno di andare». Il personaggio del Cristo nel Vangelo, che non riusciva a trovare in nessun modo, gli apparve incredibilmente alla porta. «Era Enrique Irazoqui, uno studente catalano che stava scrivendo una tesi su di lui. Quando richiuse la porta mi disse: ho visto Gesù».
Il pallone, però, era sempre in macchina. «Spesso, se capitava di incappare in una partitella di ragazzi su un campo improvvisato, chiedeva di tirare due calci ed era felice come un bambino. Il giorno della partita con la nazionale attori, annullava qualsiasi impegno, dalle conferenze alle riprese di un film. Lo stadio, invece, non ci piaceva: andammo solo una volta all'Olimpico per una partita tra Roma e Bologna, la sua squadra del cuore. Non ci tornammo più». Nelle sue dissertazioni sul linguaggio calcistico, Pasolini divideva i giocatori in prosatori e poeti, con tanto di esempi. Bulgarelli? Un «prosatore realista», mentre Riva si poteva definire un «poeta realista». «Mariolino Corso - scrisse nei suoi Saggi sulla letteratura e sull'arte - gioca un calcio in poesia, ma non è un poeta realista, è un poeta un po' maduit, extravagante. Rivera invece gioca un calcio in prosa, ma la sua è una prosa poetica, da elzeviro. Anche Mazzola è un elzevirista che potrebbe scrivere sul Corriere della Sera, ma è più poeta di Rivera: ogni tanto interrompe la prosa e inventa lì per lì due versi folgoranti...».
Dietro le smanie di Pasolini, anche il terzino Ninetto prese ad allenarsi due volte alla settimana. La sera in trattoria, però, non tradiva la sua romanità mentre il regista sapeva contenersi.
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