«Noi arabe? Sappiamo salvarci da sole»

La scrittrice Joumana Haddad: «Se non ci si batte contro i pregiudizi vivere non ha senso»

La bionda che fa paura allo Zar
Pensare che Putin all’inizio le faceva pure il filo: «Ma credo che se ne sia pentito da un pezzo». Elena Tregubova si è fatta un sacco di nemici in Russia ma la paura la disarma con il sorriso. Biondina, lo sguardo gentile, il cuore in fiamme, ha scritto un libro I mutanti che ha osato far la pelle alla casta del Cremlino. Un successone, migliaia di lettori, una marea di guai. È stata licenziata dal suo giornale il Kommersant, è miracolosamente scampata all'esplosione di un ordigno davanti alla porta di casa, è stata costretta a rifugiarsi a Londra. Ma è decisa a tornare prima o poi. Dice di avere nostalgia solo della perestroika, considera il Cremlino una Cupola, conosce bene il rischio. Poco prima dell’omicidio di Anna Politkovskaja diceva: «Oggi in Russia non c’è aria, non respiriamo più. L’unica che non molla è la Politkovskaja. Ma quanto potrà durare?». Adesso anche lei lo sa.
La bambina con il kalashnikov
Senait Mehari ha 28 anni. O forse 30. Perchè nessuno l’ha mai registrata all’anagrafe. Potrebbe anche essere morta quattro o cinque volte. Quando mamma cercò di ucciderla appena nata o quando papà l’abbandonò in un campo di guerriglieri eritrei. Dice: «Non mi sono mai sentita voluta, c’è sempre stato qualcuno pronto a cancellarmi». Senait è nata tra due mondi legati solo dall’odio, papà eritreo, mamma somala, in piena guerra d’indipendenza, Eritrea contro Etiopia. È nata nemica di mamma che per la vergogna l’ha chiusa dentro una valigia e buttata via, è nata nemica di papà che per l’umiliazione l’ha abbandonata a sei anni in un campo di addestramento del Fronte di liberazione dell'Eritrea. Senait è stata per tre anni una bambina soldato, col kalashnikov a tracolla, poi la vita l’ha portata a Berlino, è una star della musica pop adesso e ha scritto un libro che urla Cuore di Fuoco. Ha perdonato chi le ha voluto male, combatte con l’Unicef per liberare i bambini soldato come lei. Fa ancora la guerra, ma solo dentro di sè.
In nome del dio delle piccole cose
Per battersi per ciò in cui crede si è raccomandata a una delle sue creature, il Dio delle piccole cose, il libro che le ha data tutto ciò che sognava, la fama, il denaro, l’amore della gente. Poi vada come vada. Susanna Arundhati Roy è la faccia dell’India che cambia e la faccia non poteva essere più bella della sua. Quarantasei anni portati da dio, carattere da dura, figlia di un’attivista cattolica che l’ha educata più alla libertà che all’obbedienza, prima di votarsi alla letteratura ha studiato da noi, restauro dei monumenti a Firenze, e non si fa spaventare da nessuno. In India, dove è diventata il simbolo della protesta, è stata arrestata, processata, insultata. Combatte il governo per colpa delle dighe. Dice: «Le dighe sono armi di distruzione di massa, armi che i governi usano per controllare la gente». Dovevano dare acqua e luce alle città, ma otto famiglie contadine su dieci non hanno accesso all’elettricità e 250 milioni di persone non hanno acqua. È bella, ricca e famosa. Chi glielo fa fare: «Non sono nata per chiudere gli occhi». E certi sguardi è un peccato perderseli.
Una mamma contro tutti i pregiudizi
Elif Shafak si è presentata in aula appena diventata mamma e non le ha mandate a dire a nessuno. La sua Sehrazat era appena nata e pesava tre chili, i giudici avevano respinto il rinvio dell’udienza per i parto e allora madre e figlia, orgogliose, se la sono sbrigata prima. In quell’aula turca rischiava da sei mesi a tre anni di prigione solo per aver scritto un romanzo Baba ve Pic, «Il bastardo di Istanbul», in cui per il solo fatto di parlare dell’eccidio degli armeni offendeva l'identità turca. Al giudice ha spiegato che quella legge era un danno per la Turchia e che lei non avrebbe chiesto scusa a nessuno. Guardandolo dritto negli occhi. Elif, giramondo e rubacuori, l’aria da adolescente difficile, ha insegnato a Tucson in Arizona, vissuto un po’ ovunque, ma abita già nel futuro. Dice: «Oriente e Occidente non sono nemici ma punti di vista. A volte basta solo cambiare punto d'osservazione». Oppure: «È possibile essere multiculturali, multilingue e multireligione». L’hanno assolta. Non si può condannare il domani.
La piccola miss che ripulisce la Cina
L’hanno soprannominata Miss Fiume Giallo perchè è lei a sorvegliare il grande fiume che sta morendo dissanguato. Li Moxuan è nata a Shenyang, una delle dieci città più inquinate del mondo, vive passioni intense ma silenziose ed è decisa a fare pulizia. Ha studiato a Londra, è diventata l’eroina dell’ambientalismo nella Cina comunista, un Paese inquinato per il settanta per cento e inquinante al mondo quasi peggio degli Stati Uniti.

Lei denuncia: i ghiacciai del Tibet si sciolgono, le tempeste di sabbia stanno prosciugando la Cina. Il regime la sorveglia: tollera la protesta purchè non alzi la voce. Ma l’eroina, si sa, più è silenziosa e più è pericolosa...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica