«Noi cristiani cinesi oppressi ma vincenti»

Monsignor Zen Ze-kiun, salesiano di Shanghai, racconta la vita dei cristiani sotto il regime totalitario: «Vessazioni e controlli continui. Una visita del Papa? Per ora non è possibile»

da Roma

«La Chiesa in Cina è una sola, non ne esistono due. E la Chiesa in Cina sta vincendo». Monsignor Joseph Zen Ze-kiun, nato a Shanghai 73 anni fa, salesiano, vescovo di Hong Kong, è un prelato che ama parlar chiaro. Accusato dai giornali filogovernativi dell’ex colonia britannica di «interferire» nella politica, Zen è il principale punto di riferimento del Vaticano per le questioni cinesi. Al Sinodo sarebbero dovuti essere presenti anche quattro vescovi cinesi ma non è stato permesso loro di partire.
Molti media occidentali presentano i cattolici cinesi divisi al loro interno e parlano di una sola Chiesa riconosciuta dal Vaticano, quella «clandestina». È così?
«La realtà non è questa. In Cina c’è una sola Chiesa e il governo deve capire che la Chiesa cattolica è cattolica, punto e basta. Quasi tutti i vescovi “ufficiali” hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento di Roma e i nuovi vescovi, consacrati in questi mesi, sono stati nominati con il placet congiunto della Santa Sede e del governo».
Esistono ancora vescovi «patriottici» filogovernativi non riconosciuti da Roma?
«Sì, ma i vescovi che non sono riconosciuti dal Papa vengono abbandonati dai fedeli e dal clero. La gente non li vuole, non assiste alle loro messe. Ottenere il consenso di Roma è diventata una necessità».
È stato consacrato il nuovo vescovo di Shanghai. Non è stato però annunciato che aveva l’appoggio del Papa...
«Bisogna avere pazienza. Prima il governo imponeva di non dire che un vescovo era stato riconosciuto da Roma. Questa volta non hanno osato alzare la voce e si sono limitati a dire: quel vescovo lo abbiamo nominato noi e il Papa l’ha riconosciuto. In realtà ci sono state consultazioni preventive e il governo ha dato l’assenso al candidato scelto da Roma. Speriamo che le nostre autorità comprendano la convenienza di arrivare a una normalizzazione della situazione».
La Chiesa «clandestina» è perseguitata?
«Se con quel termine si intende sottoposta a vessazioni, controlli e pressioni, sì. Ma lo è anche la cosiddetta comunità ufficiale. Diciamo che tutta la Chiesa in Cina è sottoposta a vessazioni continue anche se questo non significa che ti ammazzino o che ti mettano sempre in prigione».
Cosa vogliono i cristiani cinesi?
«Ai cristiani interessa poter andare in chiesa, avere i sacramenti. Se c’è un prete decente, lo seguono senza problemi. La Santa Sede ha sempre permesso ai fedeli di andare alle messe della cosiddetta Chiesa ufficiale, con grande scandalo dei clandestini che lo ritenevano un peccato».
La Chiesa cinese interviene nelle vicende politiche con giudizi e appelli?
«Noi cristiani siamo una piccola minoranza. La situazione è molto diversa da quella di altri Paesi, magari sottoposti a regimi autoritari ma con una presenza cattolica diffusa e radicata. Da noi è furbo chi non parla ed è considerato stupido chi parla, perché quest’ultimo non solo non ottiene niente con le sua denunce, ma perde anche quelle concessioni che gli permettono di fare apostolato. Bisogna procedere con pazienza, perché il governo cerca di controllare capillarmente le nostre attività. Ciononostante, io credo che la Chiesa stia vincendo e che il governo sia obbligato a rendersi conto che il legame con Roma non rappresenta un’indebita interferenza del Vaticano con la vita di un grande Paese sovrano».
L’attenzione della comunità internazionale è utile?
«Certo, bisognerebbe che l’intera comunità internazionale aiutasse il processo di democratizzazione in Cina e i singoli Paesi non pensassero soltanto a fare i loro affari».


Il Papa visiterà la Cina?
«Per come stanno le cose ora, non mi sembra che questa possibilità ci sia. Certo, potrebbe forse fare uno scalo a Hong Kong...».
E il Vaticano allaccerà rapporti diplomatici con il governo cinese?
«Anche qui, ci vuole pazienza. Può capitare fra un anno come fra dieci».

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