Il nome della bimba mai nata

Invano sfogliando i giornali di ieri abbiamo cercato un nome: quello della bimba che Barbara Cicioni portava in grembo. «Donna uccisa durante una rapina, era incinta di otto mesi», abbiamo titolato noi tutti. E nelle cronache c’era ogni dettaglio su di lei, la povera mamma uccisa in un paesino vicino a Perugia: c’era il suo nome, c’era quello del marito, c’erano quelli dei fratellini che dormivano. Ma il nome della bimba che tra un mese sarebbe venuta alla luce quello no, non c’era. Eppure, quella bimba era ben di più che un desiderio. Chissà se mamma e papà conoscevano quel passo della Scrittura: «Signore, tu mi scruti e mi conosci... Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto... Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno».
Chissà. E chissà se mamma e papà un nome lo avessero già deciso. È probabile. Come pensare che non l’abbiano chiamata per nome il giorno in cui la videro con l’ecografia, quando si metteva un dito in bocca e sorrideva (sì, sorrideva: l’avete mai vista un’ecografia?). Però nessuno ora lo menziona, quel nome.
È che per noi quella bimba mai nata è come se fosse anche mai esistita. È la nostra cultura. Ed è pure la legge, che diamine. Ieri, da bravo servitore dello Stato, un magistrato della Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo per «omicidio volontario», proprio così, «omicidio» al singolare, perché i morti sono due ma per il codice sono uno solo. Ricordate? Successe così anche l’anno scorso quando in Veneto fu uccisa una ragazza, Jennifer, al nono mese di gravidanza. Anna Maria Giannone, la mamma di Jennifer, dopo l’autopsia prese il corpicino del piccolo - che si chiamava Hevan -, lo vestì con il completino del neonato e gli fece una foto. Bellissima e dolcissima. Ma quando, su richiesta della nonna, prima il Gazzettino di Venezia e poi altri giornali pubblicarono quell’immagine, il garante della privacy si stracciò le vesti - «scandalo! terrorismo mediatico!» - e l’Ordine dei giornalisti mise sotto inchiesta i direttori dei quotidiani colpevoli. Passino i morti ammazzati e squartati, passino le donnine nude, ma il faccino di un bimbo che pare addormentato no, è troppo.
Sarà forse che scuote la nostra cattiva coscienza, il mostrare che c’è già chi vogliamo credere che non ci sia ancora? Flannery O’ Connor, una scrittrice americana, diceva che una delle follie dell’uomo moderno è quella di esorcizzare il male rendendolo invisibile.
Viene in mente un racconto che Giovannino Guareschi scrisse nel 1967, un anno prima di morire. Si intitolava L’embrione, e ora è raccolto nel volume Baffo racconta. Parla di un uomo il quale, sospettando che la moglie lo tradisse, la uccise. Al processo venne riconosciuta l’attenuante del delitto d’onore, e l’uxoricida tornò in libertà, non senza gli applausi del pubblico. E però, un’ora dopo la fine dell’udienza, il giudice era nel suo ufficio e «sentì qualcuno tirargli l’orlo della toga». Chinatosi, il magistrato «vide che si trattava di un bambino piccolo piccolo, che pareva fatto d’aria». «Che cerchi?», domandò il giudice. «Cerco giustizia», rispose il piccolino. «Io sono il figlio dell’Esterina. Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva pure tener conto!». «No, ragazzino. Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste. Il codice parla chiaro: la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita (...) Tu non hai nessun diritto da accampare perché non sei una persona fisica, tanto è vero che non sei nato!». «Però sono morto!». «E come può morire chi non è nato?». Il piccolino concluse sconsolato: «Visto in che razza di mondo avrei dovuto vivere, direi che mio padre mi ha reso un buon servizio».
Così sarà anche per la povera piccola senza nome di Perugia: nessuno pagherà per la sua morte perché per il mondo dei nati i quasi nati non esistono, la «ragione» dice che una placenta e una pancia li escludono dalla realtà.


Non ci sarà per lei un funerale, né una bara con un nome. Quel nome che solo se c’è un Dio le verrà restituito: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome».
Michele Brambilla

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