Chiamereste «appassionato di corse automobilistiche» un guidatore ubriaco che stermina una famiglia sulle strisce pedonali? Allora, via, smettiamo di chiamare «delitti d’amore» quelle orrende mattanze di ex innamorati che quasi ogni giorno insanguinano le cronache: è accaduto tre giorni fa in una Brescia solitamente poco esposta alla furia della passione, e l’altro ieri in una Verona che, per lo meno, vanta antiche addizioni di romei e di giuliette.
Sono proprio le cronache, e i cronachisti, a inventare formule di comodo come quella dei delitti d’amore: una frase del genere, sintetica quanto suggestiva, serve a fare titoli di sicuro effetto e a stendere articoli emotivamente preconfezionati e di risultato sicuro. Dunque torniamo all’esempio iniziale. Come non c’è niente di sportivo - neanche pensando al bowling - in un guidatore ubriaco che falcia una famiglia sulle strisce, allo stesso modo l’amore non ha niente a che vedere con la morte, se non in letteratura, e tanto meno con l’omicidio.
Non c’è amore in un bruto che con premeditazione di giorni adatta a uccidere una pistola giocattolo; che si apposta per ore sotto casa della ex donna della sua vita, colpevole di essere felice con un altro uomo e di essere quindi, testuale, «una troia»; che - a freddo, dopo avere fumato uno spinello rilassante - ammazza lei, il rivale e due ragazzi di vent’anni, del tutto innocenti.
In casi come questo non c’entra neanche la gelosia, figurarsi l’amore. La gelosia acceca e può portare a un delitto improvviso e improvvisato, come sembra quello, ancora più recente, di Verona: lui, lei e un foulard, dopo una tranquilla (per quel che ne sappiamo) vacanza insieme. La gelosia è una bestia tremenda, lo sa anche chi (chi?) non l’ha mai provata in modo estremo, tanto ne hanno parlato romanzi, cinema e cronaca. È vero che a scrivere di questi articoli si corre sempre il rischio di cascare nella frase da Bacio Perugina, ma tant’è, si trovano dei buoni pensieri anche lì. E allora ecco: amare significa donare all’altro, prima di tutto, il bene più prezioso, ovvero la libertà. La gelosia è il contrario del dono della libertà, e rovescia il sentimento d’amore. Se prima, da innamorati, si poteva dire «ti amo più di me stesso», il geloso che colpisce dichiara di amare molto più se stesso, il proprio orgoglio ferito, che non l’altro.
Tanto che il tradimento, vero e presunto, viene punito con la morte al motto più egoista e feroce che ci sia, «O mia o di nessuno».
Ho scritto «mia» invece di «mio» perché le vittime di omicidi come quelli di Brescia e di Verona sono, nella stragrande maggioranza dei casi, donne. Di certo non perché il maschio sia più passionale o più innamorato (che non è quasi mai vero). Né perché le femmine sono generalmente più capaci di autocontrollo e di perdono (che è quasi sempre vero). Succede perché i maschi hanno un senso animalesco della proprietà, e perché nel nostro dna animale c’è l’istinto ferino di difendere non la femmina, ma la proprietà della femmina dall’attacco di altri maschi.
Non ci vuole Eistein, per capire questa verità elementare. Ma non è un caso che in genere gli autori di quei delitti siano, oltre che maschi, uomini di ignoranza vasta e di intelligenza corta, qualche centimetro più prossimi ai nostri antenati pelosi.www.giordanobrunoguerri.it
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