Gabriele Zanatta
Scansate l'affettatrice e sfoderate il coltello lungo e sottile. La lama disegni, con deciso affondo, un velo tanto sottile da esibire, sotto la carne rosso-rosata, la luce dell'acciaio. La fetta sapida, un poco speziata e salata quel minimo, si scioglierà in bocca cogliendo di sorpresa le papille. Ma solo quelle di chi ignora che a Norcia i cosciotti di crudo hanno iniziato a lavorarli (e divorarli) un paio di millenni fa. Perché finora questo borgo cintato che si erge pacifico all'ombra dei Sibillini, nell'Umbria più orientale, ai più golosi ha scatenato soprattutto acquoline da tartufo nero pregiato (non diteglielo, ma anche i francesi del tartufosissimo Périgord se lo fanno arrivare da queste parti). O, agli spiriti pii, devozioni da ora et labora, dal frate Benedetto che con la Regola segnò la vita di milioni di fedeli.
E ancora, ai cinefili, il ricordo delle gesta di Brancalaone, memorabile maschera indossata da Vittorio Gassman. Ma Norcia è l'unico centro italiano ad aver arricchito la lingua italiana con due vocaboli, "norcino" e "norcineria", metonimie che hanno valicato i confini della Valnerina fino a siglare grembiuli e insegne di dodicimila macellai e botteghe di carne suina sparse per tutto il BuonPaese.
Le origini si sono perse perché, in epoche diverse, queste lande conobbero moti di spopolamento che traghettarono i saperi dell'ars nursina ai grandi centri urbani (per dire, le radici della romana Fiorucci affondano nella vicina Nottoria), contaminandone le antiche peculiarità. Ma il fuggi-fuggi è acqua passata. E, questa volta, i prosciutti sono qui per rimanere e rispolverare antiche saggezze.
Tre anni fa si è costituito allo scopo il Consorzio di Tutela del Prosciutto di Norcia, associazione che ha iniziato a farsi sentire solo da poco, brandendo una Igp estesa anche ai vicini comuni di Preci, Cascia, Monteleone di Spoleto e Poggiodomo (anche se, di fatto, i dieci prosciuttifici consorziati stanno tutti tra Norcia e Preci). L'Igp confina la produzione dei maiali a un'altitudine superiore ai 500 metri ma non impone, come le più severe Dop dei crudi di Parma e San Daniele, di vigilare anche su provenienza e allevamento dei suini.
Agostino Cataldi, presidente del Consorzio, conosce bene la saggia regola per cui, se è vero che nel primo anno un buon crudo deve ringraziare il norcino, dal secondo in poi il merito è tutto dell'allevatore. Per questo rassicura: «Stiamo lavorando per ottenere un'Igp superiore che detti precisi criteri su allevamenti e provenienze della materia prima. In particolare, il crudo di Norcia utilizzerà solo suini provenienti da allevamenti italiani di razze bianche come large white e landrace».
Nell'attesa c'è da fidarsi sulla parola: i norcini di Norcia giurano che i suini bianchi pesanti, allevati in una decina di regioni italiane, raggiungono in non meno di 14 mesi un peso di 160/170 chili e, soprattutto, che si nutrono di alimenti secchi (mais o soia) integrati più avanti col siero di latte. La produzione inizia con la macellazione della regione coscia/natica, privata del piedino, a raffreddamento alternato. La sezione, peso medio 16 kg, viene rifilata fino ad assumere l'inconfondibile aspetto a pera (i più poetici lo paragonano a un violoncello), con il tipico taglio ad arco che dista dalla testa del femore (la "noce") non più di 6 centimetri.
Segue la fase di salatura con granelli fini e grossi, e pepatura in piccole quantità. Dopo venti giorni in celle refrigerate, si spazzola il sale in eccesso e si mette ancora a riposare al freddo, per fare assorbire l'umidità ed espellere l'acqua. Tre mesi più tardi parte la toelettatura: si lava e si asciuga. Poi si pre-stagiona, esponendo di tanto in tanto la coscia alle brezze benefiche della Valnerina fino al settimo mese. Dopodichè si sugna, stuccando la cotenna con grasso fresco e ancora sale e pepe per preservare dalle muffe. Si stagiona fino al 15° mese, al termine del quale pesa circa 12 chili. È adesso che l'ispettore del Consorzio infila il noto spillone, ricavato dall'osso di cavallo, per percepirne il profumo. Se tutto va bene il prosciutto può finalmente essere marchiato a fuoco. E ceduto a 12-13 euro al chilo all'esercente, il quale lo venderà al pubblico a 26-27, sempre al chilo.
La produzione annua si attesta attorno alle 800mila unità: di queste, però, solo 150mila passano il test dell'Igp. Le cifre naturalmente sono irrisorie se rapportate a quelle di Parma e dintorni (190 produttori e quasi 10 milioni di unità) o alla sola San Daniele del Friuli (rispettivamente 28 e 2 milioni e mezzo). Comunque non vuol dire, anzi: come tutti i prodotti di pregio, se aumenti la produzione senza avere mezzi e capacità per sostenerla, la qualità inevitabilmente cala.
Piuttosto, il viandante goloso, facendo tappa da queste parti, pensi a tornare a casa con il cestello colmo di altre prelibatezze made in Valnerina come le lenticchie extra-small di Castelluccio (altra Igp), il farro di Monteleone di Spoleto e altri gioielli suini tipo capocollo, coglioni di mulo, ciauscolo, salsicce, guanciale o lonzino.
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