nostro inviato
a Yokohama
Un altro Liverpool dopo Istanbul, un altro Boca dopo Yokohama 2003. Il calcio sa essere generoso con chi lo onora, con lultimo Milan in particolare, minuscolo dalle sue parti, gigante ammirato per le contrade dEuropa e del Mondo. E gli concede, per la seconda volta consecutiva in sette mesi, la possibilità di riparare a una sconfitta dolorosa. Meno pesante di quella patita a Istanbul: un altro qualsiasi club ne sarebbe uscito con le ossa rotte, spogliatoio in frantumi, cambiati allenatore e mezza squadra. E invece no, il Milan domò alla sua maniera le scosse di terremoto avvertite e ripartì a caccia della rivincita con ridotte possibilità di successo. Lanno orribile 2006, cominciato con la partenza di Shevchenko e scandito dalla penalizzazione più larrivo di Oliveira al posto dellucraino, si concluse col semestre da favola: quarto posto grazie a Ronaldo, Champions league sollevata nel cielo di Atene grazie a Kakà e Seedorf i magnifici due di Yokohama. «Nellestate del 2006 era unutopia pensare che avremmo vinto la Champions. Abbiamo realizzato unutopia e ne siamo orgogliosi» infiocchetta così la vigilia Ancelotti. Ed ecco allora loccasione, la grande serata offerta dal caso ai campioni dEuropa per riconquistare un trofeo che nel frattempo è diventato qualcosa di più di una semplice coppa Intercontinentale, un banale viaggio di 4 giorni in Giappone, dinanzi allo stesso rivale di quattro anni prima, il Boca Juniors appunto. Adesso, per intervento di Blatter, lo chiamano mondiale per club e, cerimoniale a parte, comincia a crescere, a seminare credito e prestigio, a catturare lattenzione di sponsor e tv dellaltro mondo, lAsia. Siamo alla terza edizione appena: nelle precedenti due, beffate le squadre europee, Liverpool e Barcellona liquidate da San Paolo e Internacional di Porto Alegre. Fu in quei giorni che cominciò la lenta ma decisa marcia di avvicinamento di Galliani verso Pato, acquistato in giugno ma tesserabile solo da gennaio.
Il Milan non vince in Giappone dal dicembre del 90, una vita per le sue abitudini: furono gli olandesi di Arrigo, Rijkaard, Gullit e Van Basten ad asfaltare senza difficoltà alcuna lOlimpia di Asuncion, Paraguay, con un rotondo 3 a 0. Dopo quel blitz, tre sconfitte consecutive, due con Capello, una con Ancelotti stasera poco interessato, dice lui, al riscatto. Che può servire, come spiega lo stesso allenatore rossonero, sereno, determinato e con un pizzico di veleno sulla coda della frase, «a chiudere il cerchio di un anno fantastico non il ciclo di una squadra data per finita troppe volte la cui storia continuerà». Dal giorno del raduno, questo viaggio è diventato lossessione di Galliani e della società, meno dei tifosi allarmati dai ritardi in campionato. «Possiamo diventare il club numero uno al mondo» continua a ripetere il vice-Berlusconi che tiene alla contabilità della bacheca più che a quella del bilancio. Preparata per Ronaldo, escluso da un acciacco muscolare, lennesimo, la finale di Yokohama ridiventa larena per il samurai Pippo Inzaghi che consegnò la Champions con le due magie di Atene. Per chi non crede alla casualità degli incroci, anche questo può e deve sembrare una volontà riparatrice del destino. Inzaghi staccò il biglietto per Tokio, ad Inzaghi tocca lonere di dare lassalto al mondiale per club. Nella consapevolezza di una grande virtù scolpita nel proprio dna: onorare le sfide che contano, prepararle a puntino, affrontarle con lo spirito giusto, cavarne il massimo dalle ridotte risorse di una rosa appesantita dagli anni e tecnicamente modesta in alcuni ricambi, in attacco specialmente e sui lati della difesa.
Il Boca Juniors è il peggiore dei migliori rivali possibili. È il peggiore per il suo temperamento viperino: quando meno te laspetti, tira fuori la testa dal sacco e ti morde alla caviglia. È il migliore perché ha storia, palmares (17 trofei quanti quelli milanisti), senza schierare fuoriclasse. Non cè nemmeno Carlos Bianchi, lamuleto del Boca 2003. Kakà, col piede ferito, non è al meglio.
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