Dopo la notte di follia, la capitale si lecca le ferite

Il giorno dopo la battaglia non c’è traccia delle nuvole che hanno lanciato pioggia sulla furia dei teppisti. Spunta invece un sole caldo, rassicurante quanto fuori stagione, che asciuga le strade in un baleno e lascia a terra solo i segni del passaggio dei tifosi di domenica sera, dopo la morte del tifoso biancoceleste Gabriele Sandri. Lungotevere Maresciallo Diaz è una via crucis di vetri rotti, insegne distrutte, cassonetti incendiati e segnali stradali divelti. Sui marciapiedi, via via che si procede verso il Coni, il pavimento mostra le ferite, orfano dei sampietrini strappati con violenza dalle loro sedi e lanciati verso le finestre.
I danni al Palazzo H del palazzo del governo sportivo ammontano complessivamente a 100mila euro: la porta scorrevole sotto i cinque cerchi olimpici, distrutta per metà, è tenuta insieme da una lunga striscia di nastro da imballaggio, mentre il plastico nell’atrio è oramai privo di protezione. Gli addetti alla sorveglianza all’ingresso non rispondono alle domande, ma le loro poche parole tradiscono la preoccupazione per quanto successo ai colleghi, mista al sollievo per non essere stati di turno la scorsa domenica. «Hanno fatto la cosa migliore - dirà più tardi un impiegato lontano dall’edificio - di fronte ai petardi e alla sassaiola hanno pensato innanzitutto a salvarsi la pelle. Io mi sarei comportato allo stesso modo». Le macchine e i motorini incendiati sono già stati portati via: rimangono le transenne utilizzate per deviare il traffico e un paio di vetture di servizio con il parabrezza sfondato e gli specchietti da buttare.
Al posto di polizia di via Ferdinando Fuga, una strada sottile e ombrosa incastrata tra la Flaminia e viale Pinturicchio, la prima cosa che stride è il barbiere aperto di lunedì. «Mi hanno bruciato l’insegna e la saracinesca - racconta - quella contro la stazione è stata una rappresaglia in piena regola».
Nel quartiere non si parla d’altro: nei bar, nei negozi e nelle edicole si moltiplicano i racconti e le testimonianze della guerriglia urbana del giorno prima, delle saracinesche dei ristoranti abbassate in fretta, dei passanti in cerca di rifugio nei portoni, delle sgommate disordinate delle auto, del rumore acuto delle sirene e delle grida degli ultrà. «Avevano il volto coperto dai passamontagna - racconta Giovanni, 77 anni, che vive al quinto piano del palazzo dove sono avvenuti gli incidenti - erano imbestialiti, non ho mai visto tanta rabbia in vita mia. Hanno iniziato a torturare un veicolo che era parcheggiato lì davanti, mentre i poliziotti si sono asserragliati dentro. Ho sentito dei rumori sordi, temevo fossero spari, mia moglie ha anche avuto una crisi di nervi. E poi all’improvviso più nulla, spariti. Abbiamo avuto davvero paura». Prima di andar via, secondo altre testimonianze, i teppisti hanno incendiato il pulmino, sollevando molto fumo e una fiamma altissima, capace di annerire i piani superiori dello stabile.
In via Guido Reni, altra tappa del lungo tour della violenza contro le forze dell’ordine, i vetri blindati della guardiola hanno invece retto per miracolo.
«Ci siamo barricati dentro e abbiamo chiuso le persiane - racconta un’anziana signora affacciata alla finestra del primo piano di un palazzo vicino - la strada era invasa da lacrimogeni, sentivamo scoppiare petardi uno dietro l’altro».

E una vicina anche lei di una certa età rincara la dose. «È stato surreale - spiega - mi sembrava di essere tornata ai tempi della guerra. Mi sono messa a letto, ho chiuso gli occhi e ho sperato che tutto finisse presto».

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