A metà tra un viveur vecchio stampo e un capitano dimpresa, Mimì La Cavera - oggi novantenne - è davvero un personaggio. Palermitano doc, data di nascita 1916, laurea in Ingegneria, una guerra sul fronte albanese, appartiene a quella ristretta cerchia di sconfitti che dopo il 45 cercò di avviare nellisola un processo di modernizzazione, in particolare nel campo dellindustria. Mimì La Cavera, detto Nuvola Rossa come titola il suo libro-intervista Marianna Bartoccelli di Altamira (Flaccovio, pagg. 140, euro 10), come ogni buon «gattopardo» siciliano che si rispetti, è figura dalle molte sfaccettature. Una vita, la sua, che sintreccia alle vicende dellEni di Mattei, a quelle degli artigiani della Sirap, delloperazione Milazzo, della Sofis...
Primo leader dellAssociazione degli industriali siciliani che scelse di chiamare «Sicindustria» (a proposito: il sottotitolo di Nuvola Rossa è: «I paradossi che si rincorrono e la maledizione siciliana raccontati da Mimì La Cavera primo presidente di Sicindustria»), don Mimì è un vero «demonietto» della politica isolana. In particolare, il suo capolavoro e insieme la sua disgrazia si chiama «milazzismo»: alla potenza di fuoco dellIngegner La Cavera - detto nei lazzi dei suoi nemici «il piccoletto», vista la sua statura non da watusso - è attribuita infatti quellanomalia tutta siciliana che vide (anno 1958) la nascita a Palazzo dei Normanni, sede del Parlamento isolano, di un governo che andava dallMsi al Pci grazie alla defezione di un gruppo consistente di diccì capeggiati dallex pupillo di don Sturzo e Mario Scelba: il calatino Silvio Milazzo, appunto (per la cronaca: deputato regionale della Dc, Milazzo venne prima eletto presidente dallAssemblea regionale con i voti di democristiani dissidenti, comunisti, socialisti, monarchici e missini, in contrapposizione a Barbaro Del Giudice, candidato ufficiale democristiano; poi, convocato a Roma dal consiglio dei probiviri del partito per discolparsi, rifiutò di dimettersi e venne espulso; poi fondò lUnione Siciliana Cristiano Sociale).
Comunque, tornando alle (dis)avventure di La Cavera, fu prima espulso da Confindustria e dal partito liberale di cui era esponente di punta, e poi a lungo emarginato dalle oligarchie locali e da coloro che egli stesso denunciava come gli uomini dei monopoli. Eppure Mimì tenne botta. Con il suo socio, laltro «piccoletto» siciliano, Emanuele Macaluso, capo indiscusso dei comunisti locali, cercò di far andare a braccetto capitale e lavoro. Il nemico giurato? I soliti monopoli.
Ma Mimì La Cavera non è solo un industriale e un politico; è anche un gentleman vecchio stampo, un hidalgo femminaro.
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