Obama è una sòla, ma per i fan italiani «resta un gran figo»

Caro Granzotto, mi ha molto divertito il suo commento sulla beatificazione di Chavez da parte di Repubblica però mi permetto di farle notare che fra i «miti» della sinistra non ha incluso il nome di Barack Obama che senza tema di smentite risulta essere in testa all’indice di gradimento dei sinceri democratici. Una dimenticanza la sua o c’è qualcosa d’altro?

C’è. Qualcosa d’altro, intendo. Il fatto è, caro Mestiere, che mi esimo dallo sparare sulla Croce Rossa. Sparare mi piace e non perdo l’occasione per farlo, talvolta a pallini e tal’altra a pallettoni, ma se il tiro è troppo facile che gusto c’è? Che Obama sia molto fumo e pochissimo arrosto è ormai noto a tutti. Agli americani che pure l’elessero a furor di popolo, è proprio il caso di dire. E agli italici progressisti che per il sedicente «presidente del cambiamento» andarono letteralmente in visibilio. Qualche giorno fa ne parlavo con una bella signora iper sinceramente democratica, affetta da tutti i tic, luoghi comuni, parole d’ordine e slogan dell’armamentario progressista. Riconobbe che sì, bé, insomma, Barack ha deluso, che sono passati otto mesi e non ha realizzato un tubo, che non una delle sue altisonanti promesse è stata mantenuta. «Però», concluse sbatacchiando le ciglia, «resta un gran figo». E infatti a quello, al sembiante, al glamour personale suo e della moglie Michelle (si sono sprecati i commenti, per lo più dotti, sull’attitudine della first lady di andarsene sbracciata, sul suo prediligere i colori afro-chic o di indossare - gesto che più «progressista» di così si muore - la braga corta) si sono ridotti i panegirici degli obamadipendenti. Segno inequivocabile che il mito ha perduto il suo smalto, che «il presidente del mondo» (sempre copyright di Concita De Gregorio, direttrice del quotidiano che fu di Gramsci e però, non dimentichiamolo, anche di Furio Colombo) ha fatto cilecca ed è pigramente tenuto buono solo perché è un fustaccio (e fustaccia la sua signora). C’è poi da aggiungere che anche se fanno finta di niente i sinceri democratici non ignorano che oltreoceano Obama precipita nell’indice di gradimento, scendendo di molti punti sotto il 50 per cento, record negativo mai registrato prima, nemmeno da quel giuggiolone di Carter o da quella coppia di gaglioffi dei Bush senior e junior. E se precipita in quell’America che eleggendo Obama si rivelò essere «l’altra America», quella giusta, quella che seppe scrollarsi di dosso l’odioso bushismo, una cosa è certa: l’uomo non è quello giusto, non è «the right man in the right nation». Forse le sarà sfuggita una notiziola, caro Mestiere, che la dice lunga sulla precipitevolissima caduta delle simpatie per il nostro Barack Hussein. Sapendo di dover ingoiare un rospo grande come l’Air Force One (il fallimento o comunque il radicale ridimensionamento della riforma sanitaria) egli intendeva preventivamente rinfocolare la simpatia e il consenso degli americani ricorrendo a quella che è la sua arma migliore: la chiacchiera, che maneggia assai bene essendo un eccellente oratore. L’occasione era la riapertura dell’anno scolastico, circostanza che gli avrebbe dato agio, rivolgendosi agli studenti, di pescare a piene mani nella retorica e nell’onirico (tipo: per realizzare i vostri sogni dovete studiare; ciascuno di voi ha nello zaino il bastone di maresciallo o le chiavi della Casa Bianca. Cose così). Bè, lo vuol sapere? Un buon numero di Stati non ha voluto diffondere il messaggio presidenziale, ritenuto (a ragione) un espediente di Obama per alimentare il culto della personalità. Negli altri, di Stati, è stato ficcato nel palinsesto dove càpita càpita. Otto mesi fa avrebbe avuto l’onore del «prime time» a reti unificate.

Ma otto mesi fa nessuno poteva immaginare che Barack Obama fosse una sòla.

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