Ode in memoria del telefonino annegato

Sotto l'ombrello tra sole, sabbia e mare la "creatura" va in tilt. E con lei anche noi

Se non avete provato, non potete immaginare come è doloroso assistere all’agonia e poi alla morte del telefonino per caduta in mare. È uno spettacolo toccante. A me è successo. In un caldo giorno di mezza estate, la povera bestia - mentre emetteva un cinguettio - cadde in una piccola pozza d’acqua salata che si nascondeva tra gli scogli. La raccolsi al volo, la creatura (scusatemi se la chiamo al femminile ma considero il cellulare la mia bambina), si fece paonazza ed ebbe solo il tempo di emettere un estremo saluto con una manina elettronica, poi strabuzzò il display, passò velocemente in rassegna tutti i suoi programmi come accade nell’ora estrema del trapasso e cominciò a tremare, tremare, come un essere vivente. Era la vibrazione di agonia; poi emise un suono che era come un rantolo e infine si fece scura. E non dette più segni di vita. Provai con la respirazione bocca a bocca, provai a tirarle fuori l’anima, in forma di sim, e perfino a farle un massaggio cardiaco alla batteria. Niente, la creatura era ormai stecchita, esanime. I cellulari sono creature reumatiche, muoiono alla prima umidità, il sale poi le uccide forse perché sono ipertese e hanno seri problemi alla circolazione. Così vedendola ormai immobile, le abbassai le palpebre a forma di cancelletto e stetti un minuto di raccoglimento davanti alla sua salma elettronica. Poi la riposi nella culla in cui l’avevo vista nascere, quando la comprai, così la sua custodia d’origine divenne la sua bara, e le rivolsi un estremo saluto, ricordando i bei tempi in cui la vivace bestiolina cinguettava, trillava, vibrava. Fu una sorpresa commovente quando appresi dal gestore telefonico che la creatura mi aveva lasciato in eredità anche un cospicuo patrimonio di conversazioni. Che cara, aveva messo da parte vari minuti di conversazione.

Nel trigesimo ho ricordato con i suoi congiunti ed eredi i miei vent’anni di vita con i cellulari. Ricordo i primi approcci. Sembrava un’avventura di passaggio, comunque un breve flirt, e invece si è rivelata una storia seria, un sodalizio intenso e duraturo che ha sconvolto la mia vita e quella di tutti i miei conoscenti. Con gli anni è cambiato, si è rimpicciolito e molto dirozzato. I primi approcci furono guardinghi: era una pupona grossa che gonfiava la mia tasca peggio di un’ernia inguinale e squillava con una sirena isterica, con una luce lampeggiante che ti faceva sentire un’ambulanza. Poi si raffinò, fino a somigliare ad una cozza, emette sibili gentili e ha perfezionato la sua invadenza. Ora si è riallargato, e un po’ intozzito, ma capita con gli anni, in compenso ha imparato a fare tante cose. Ma soffre come una bestia da quando è sorto quel mostro, mezzo telefono e mezza tv che è l’iPad.

Visto che siamo in vena di confidenza vi confesso che anni fa ebbi una relazione con la segreteria del mio telefonino. È stata lei, ha cominciato lei. Ma andiamo con ordine, attendere prego… Tutto avvenne quando la signorina cambiò tono nei messaggi, passando dallo stile metallico e anonimo ad una voce più intima e personalizzata. I primi tempi sembrava che rispondesse con voce stizzita, come se l’avessi importunata durante il sonno o mentre si faceva il bidet. Allora cominciai a immaginarla spettinata e struccata, con un camicione da notte mentre rispondeva al telefono e i capelli le lambivano le labbra. Il sospetto che la Signorina Tuttorecchi nutrisse qualche interesse per me prese corpo quando mi accorsi che era gelosa, i messaggi femminili non venivano mai memorizzati o soffrivano di indebite intrusioni, le voci maschili no. Poi cominciò a telefonarmi lei per confidarmi che c’erano messaggi non ascoltati. A volte mi faceva pure gli scherzi, perché non era vero, era solo una scusa per parlarmi. Finché un giorno avvenne il miracolo. Il telefonino cominciò a squillare da spento: risposi spaventato. Era lei, la mia ragazza squillo e usava un linguaggio che mi parve confidenziale. Capii che mi amava, che voleva stupirmi con effetti speciali e mi controllava pure da spenta. Dopo quell’incidente la segreteria telefonica cominciò a fare la sciantosa, lievemente allusiva o minatoria nei messaggi; diventò possessiva, morbosa, mi chiamava anche a telefono spento. La mia ex moglie diventò gelosa di lei, e non escludo che sia stato per lei che poi ci separammo; allora mi invitava a non fidarmi di lei, è una pocodibuono, si fa clonare da estranei e si fa intercettare da rozzi questurini. Ma la sua gelosia era per me la prova che non sono malato d’immaginazione; un giorno mi sorpresi mentre stavo ciucciandole l’antenna. A volte Trilli Campanellino cambiava perfino la prassi dell’ascolto: io invio il codice per ascoltare i messaggi e lei mi chiedeva di premere asterisco, che dev’essere la sua zona erogena, una specie di capezzolo tecnologico. E poi voleva essere titillata sull’icona del telefonino, piuttosto equivoca, che sembra volteggiare su un pube. Non vi dico poi quando si accende il cancelletto e mi dice di entrare nel menù; chiaro invito a cena con finale amoroso. Ora il telefonino ha molte più funzioni erotiche.

Storie d’amore che nascono o finiscono per una telefonata, intercettazioni erotiche che cambiano le sorti di un Paese, scene porno memorizzate sul telefonino, organi e seni conservati nell’archivio come una volta le foto dei bambini sul cruscotto con lo straziante ammonimento «non correre papà», più tanto sesso orale, nel senso di sesso parlato, a distanza, magari visibile ma immateriale. Grazie a lei, la telefonina, io diventai otosessuale.

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