Giovedì ventidue giugno, ore sedici. LItalia si ferma. Non quella che gioca ad Amburgo, almeno si spera. Ovviamente è laltra Italia quella che allora suddetta alzerà la mano, chiederà il silenzio, accenderà il televisore o la radio (ne esistono ancora in commercio), mentre qualche post moderno navigherà su internet; insomma fratelli di pallone, in un pomeriggio un po strano, sghembo, anche per lorario del famoso calcio dinizio.
Come siamo messi al di qua del Piave? Come da repertorio: fortissimi, grandissimi. Bandiere pronte, ricchi premi e cotillons prima che comincino le danze. Brocchi da respingere al domicilio di partenza, pernacchie, fischi, insulti e pomodori non appena la partita è finita in malo modo. In mezzo a questa commedia italiana ci sono novanta minuti di pallone, da vedere, ascoltare, sicuramente soffrire. Il governo Prodi non ha autorizzato la chiusura anticipata degli uffici, già sapendo che tanto nei medesimi uffici lintervallo caffè può essere elastico nel senso di caffè lungo e i lavoratori vanno sempre e comunque tutelati.
Restano in stand by le agenzie di viaggio che curano le trasferte delle squadre, può essere lItalia come la Repubblica Ceca (perché mai soltanto per la Cechia dobbiamo scrivere e dire «repubblica»?), in caso di sconfitta stasera si chiuderanno i bagagli e si tornerà a Roma o Praga, notte tempo, a testa bassissima. È il brutto del calcio, una partita per sapere se sopravvivere o sparire. Meglio non andare al passato, prossimo o remoto, ad altri pomeriggi vissuti con la carta dimbarco in una mano e i coriandoli nellaltra. LItalia ci ha abituati da una vita a soffrire, mai che si vada via a centro pista, belli sciolti, cè sempre un momento, una partita, un gol, un palo o un rigore che fanno andare di traverso il pasticcino, lo spaghetto, il panino con la mortadella, il sushi no, il sushi no.
Eppure stavolta dovremmo fare merenda tranquilla. A meno che. A meno che il calcio ingannevole voglia sgonfiare unaltra illusione, a meno che Nedved, uno che aveva annunciato il suo ritiro dalla nazionale per poi pentirsi onorando la Patria e la carriera, non costringa a un altro tipo di ritiro noi altri.
Giovedì è un giorno strano. Non vorrei che diventasse anche storico, perché, subito dopo il fischio finale del messicano Archundia, incomincerà unaltra partita, meno avvincente, quella dei giudici e dei deferimenti. E allora gli italiani torneranno a dividersi, odiarsi. Non ci faremo mancare proprio nulla.
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