«Ok al ponte, alla ’ndrangheta pensiamo noi»

«Ok al ponte, alla ’ndrangheta pensiamo noi»

nostro inviato

a Reggio Calabria

Raccontare se stessi e il proprio lavoro non è semplice, anche se si circoscrive il tutto a un arco temporale non troppo lungo. Francesco Falbo è un colonnello della Guardia di finanza che da qualche anno è il numero uno della Dia di Reggio. Il suo compito è combattere la ’ndrangheta. Una guerra di posizione contro un nemico invisibile e silenzioso, pronto a venire allo scoperto se il Ponte sullo Stretto di Messina dovesse cominciare a diventare realtà già nel 2009, come ha detto ancora nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. «Noi siamo pronti, e anche loro lo sono. Per le cosche è un’occasione propizia per fare affari, anche se vista l’alta tecnologia dell’opera, probabilmente alcuni lavori verranno affidati a imprese multinazionali specializzate. Quindi i tentativi di infiltrazione saranno limitati ad aspetti diciamo complementari, come movimento terra, guardianìa o affitto dei terreni. Ma sono business capaci comunque di offrire introiti notevoli».
In maniera più o meno legale, suppongo.
«Il sistema funziona così. Il general contractor, in questo caso Impregilo, quando riceve le offerte deve chiedere alle prefetture l’informazione antimafia. Per forza. La legge lo prevede per certi importi, dai vecchi 300 milioni di lire in su, ma in realtà già per l’A3 Astaldi, la stessa Impregilo e le altre società hanno fatto dei protocolli d’intesa per importi inferiori. Ma noi non è che aspettiamo la prefettura. Noi siamo già pronti... ».
È uno strumento che funziona? O può essere aggirato?
«L’informativa prefettizia è una difesa avanzata sul piano amministrativo. Se c’è una ditta che non va bene, perché si muove in una zona grigia, o mafiosa in toto, viene segnalata e il prefetto la toglie. Naturalmente, cambiare ditta è un gioco da ragazzi. E si ricomincia. Ma non c’è problema. Noi non ci stanchiamo. Loro cambiano pelle, ma noi sappiamo di cosa stiamo parlando. Loro sono forti, noi abbiamo le sensibilità giuste. Anche quando facciamo altro, raccogliamo le notizie che ci portano sul Ponte. È uno scontro, diciamo così, intellettuale».
Come potrebbe una cosca lucrare sui 4,8 miliardi di euro previsti per la costruzione del Ponte?
«La ’ndrangheta è un’organizzazione territoriale. Loro sanno dove passerà il Ponte. Non è che comprano il terreno per farselo espropriare, più o meno al prezzo di mercato. La cosa migliore qual è... C’è bisogno degli spazi per fare i terreni, per depositare il materiale, dove impiantare i box per le maestranze? Impregilo e le altre società, evidentemente, hanno interesse ad avere spazi vitali nei pressi dei siti di lavorazione. In quel momento le "famiglie" e le loro ditte fanno la loro offerta».
Com’è andata finora, per esempio nel caso della Salerno-Reggio Calabria?
«Per adesso li abbiamo fermati ma è chiaro che occorre altro tempo. Per esempio c’è il caso della società Condotte».
Esclusa da aprile dai lavori della A3...
«I risultati dell’indagine sono noti. Abbiamo scoperto che le principali cosche della fascia tirrenica reggina e vibonese avevano messo le mani sui lavori di ammodernamento dell’autostrada, estorcendo il 3% del valore dei lavori alle imprese aggiudicatarie con la famosa tassa "sicurezza cantiere" o imponendo il ricorso a società di riferimento per la fornitura di materiale e servizi. Un affare molto lucroso, visto che in media servono 500 milioni di euro ogni 10 km di autostrada. Ai Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) spettava la competenza nel tratto Pizzo Calabro-Serra San Bruno; ai Pesce-Bellocco il tratto tra Serre e Rosarno, infine, tra Rosarno e Gioia Tauro, ai Piromalli. Tutti, insomma, avevano la loro parte. E tutte le società, dopo violenze, attentati e minacce, erano costrette a pagare il pizzo».
Ma le società erano colluse o subivano l’estorsione?
«La società Condotte in particolare, secondo le indagini della Dda di Reggio Calabria, aveva deciso di affidarsi a soggetti che avevano contatti con imprese che facevano riferimento alle cosche.

Anche per questo motivo l’informazione antimafia è stata ritirata lo scorso 20 marzo dalla prefettura di Roma. E adesso c’è un ricorso al Tar, che verrà discusso il 18 giugno. Se il Tar del Lazio confermasse il provvedimento della prefettura, sarebbe una svolta».
felice.manti@ilgiornale.it

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