«Okkupato» il Rettorato: abbiamo vinto

da Roma

La corsa, le scale bruciate come fulmini, lo striscione, stretto, e poi srotolato: «La Sapienza ostaggio del Papa». Un bigliettino scritto al volo: «Meno Gesù più Maria». Solo i quadri dei Magnifici Rettori restano al loro posto, appesi alle pareti. Una sfilata di cupi ritratti sopra le treccine rasta, il fumo di sigarette abusive, i pantaloni bassi sui fianchi. Uno slalom, la sicurezza beffata, e la grande impresa, l’occupazione delle stanze del potere universitario, il rettorato della Sapienza, è fatta. Perché? «O noi o lui», dicono gli anti Papa. E lo gridano gli striscioni sui muri dell’università: all’ingresso, fuori dai dipartimenti di fisica e geologia: «Il sapere non ha bisogno né di padri né di preti». «No Pope». Lui è Benedetto XVI, «noi» una cinquantina di giovani della Rete per l’autoformazione che occupano il rettorato.
Ma a cento metri da lì, sotto la pioggia che inizia a cadere sull’asfalto rimesso a nuovo per la contestata inaugurazione, ci sono altri «noi»: studenti, ragazzi allo stesso modo. Lasciano messaggi su un libro spalancato come un invito nella chiesa dell’università: «Santo Padre, benvenuto!», scrive Maria Chiara. «Santo Padre, mi vergogno di come la mia università si sta preparando per il suo arrivo», riflette Nicola. Una giovane studentessa prega, seduta su una panca.
L’occupazione e il silenzio, a cento metri appena. È questa la verità sull’università della contestazione. C’è anche l’accoglienza, ma il rumore è più forte.
Palazzo del rettorato: il blitz scatta a mezzogiorno, mentre gli amici-nemici dei Collettivi stanno tenendo una conferenza stampa nella facoltà di fisica. Conferenza pirotecnica, con due attiviste comparse con una maschera su viso raffigurante Benedetto XVI come un vampiro e la mitra con la scritta «No Vat». «Abbiamo aggirato la sicurezza da un passaggio segreto», spiega Stefano, uno degli okkupanti della «Rete», orgoglioso.
In Chiesa, sul libro dell’accoglienza, Rita scrive: «Non c’è solo egoismo e odio».
Il tavolo ovale del Senato accademico del rettorato è coperto di felpe, slogan e bigliettini: «8.30 immacolata colazione con il Papa; «A Papa, forse non hai capito, nun te volemo». Un posacenere vola per terra con un fragore da batteria, il brusìo accademico è spaccato da un grosso megafono.
Dal libro dell’accoglienza: «Quante sciocche polemiche - lascia scritto Chiara - per questa visita».
Nel rettorato si occupa nel nome di una Dea, la Minerva del sapere contro «il dogma di Ratzinger». Al grido di «Vogliamo la Minerva!», la statua-simbolo dell’università dove si vuol far arrivare la manifestazione «contro il Papa, Veltroni e Mussi», gli studenti attendono e pretendono di parlare con il rettore Renato Guarini.
Cento metri più in là: «Santo Padre, le lascio questo messaggio perché purtroppo non sarò presente per accoglierla», scrive Francesca.
L’occupazione in diretta sembra la ricreazione di un liceo. Si può entrare e uscire dal rettorato. Altri ragazzi si uniscono. I capirivolta sono neolaureati come Guido, vaga somiglianza con Valentino Rossi: «Non accettiamo di essere cacciati da questo spazio da un fascista come il Papa».
In Chiesa Adriano consegna la sua firma: «Santo Padre, che tu sia il benvenuto tra noi docenti e studenti».
C’è un mediatore della questura, Marcello Cardona. È con lui che tratta il capo-occupazione della «Rete», Francesco Raparelli: «Noi dal rettorato non ce ne andremo finché non ci autorizzeranno a manifestare in università giovedì. Rimarremo qui a oltranza».
Non ce n’è bisogno. Quando le donne della rivolta - ragazzine con i capelli fradici - portano le pizze in cartone, la delegazione degli studenti ha già avuto l’ok del rettore: manifestate tranquillamente, anche sotto la «Minerva».
Ma il Papa non verrà più. Non ci saranno zone rosse da sfidare, Dee da conquistare. «Vittoria! ha vinto l’università!», scrive il coordinamento dei Collettivi in un comunicato.

Domani ci sarà alla Sapienza una «grande festa» perché la «laicità dell’università ha avuto la meglio».
«Santo Padre, stai vicino ai noi studenti fuori sede», annota sul libro dell’accoglienza Michele di Potenza lasciando il suo saluto che sopravvive al rumore, una preghiera.

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