Olive&Bulloni, l'Italia del secondo dopoguerra in mostra

La mostra, curata da Ando Gilardi, è alla Fondazione Corrente di Milano fino al 27 gennaio

Olive&Bulloni, l'Italia del secondo dopoguerra in mostra

Olive&Bulloni sta per contadini e operai, campagna e industria, l’Italia del secondo dopoguerra e fino al boom, quando esplodono i consumi, c’è il cosiddetto miracolo economico e il Paese, in pratica, cambia faccia. Così, quel titolo icastico è un po’ il “come eravamo” di una nazione che è poi la nostra, quella che nel linguaggio cinematografico dell’epoca sarà definita “povera, ma bella”, nel tentativo caro alla commedia all’italiana di salvare capra e cavoli nobilitando la miseria attraverso l’estetica, fisica, geografica, l’unico retaggio che nel corso dei secoli l’Italia aveva mantenuto.

Olive& bulloni è il titolo della mostra di Ando Gilardi alla Fondazione Corrente (via Carlo Porta 5, fino al 27 gennaio; martedì-giovedì 9-12,30, 15- 18,30; venerdì 15-18,30). Novantenne, Gilardi è una figura mitica nel panorama fotografico italiano. Fondatore della Fototeca storica Nazionale che oggi porta il suo nome, autore negli anni Settanta della Storia sociale della fotografia, Gilardi fu negli anni della “ricostruzione” il reporter di rotocalchi quali Il lavoro e Vie nuove, nonché il collaboratore di studiosi come Ernesto De Martino, Tullio Seppilli, Diego Carpitella, rappresentanti di punta di quella corrente di studi etnografica e antropologica che mirava ad analizzare il rapporto modernità-tradizione, il mutare degli stili di vita e il permanere nel cambiamento di fenomeni e modelli ancestrali. Sotto questo punto di vista, le immagini raccolte e la proiezione del film-intervista Piedi sporchi e mani nere di Giuliano Grasso, rappresentano un vero e proprio tuffo nel passato, un passato addirittura mitico, nei volti, nei gesti, negli abiti, nelle condizioni di vita e che invece dista da noi poco più di cinquant’anni… Le fotografie di Gilardi sono un vero e proprio reportage sul campo della condizione contadina e operaia uscita dalla guerra.

E’ un’Italia contadina in cui l’asino dorme ancora in camera da letto, succedaneo di un impianto di riscaldamento che non esiste, si va alla fontana a fare rifornimento d’acqua, perché l’acqua nei rubinetti di casa è di là da venire, si ricoprono le pareti di casa di cartone per ovviare alle fessure e agli spifferi di un’edilizia abborracciata. E’ un’Italia che non conosce ancora la televisione e quindi non sa come e se mettersi in posa davanti alla macchina fotografica, dove più che vestirsi ci si copre, dove abbondano i bambini, le famiglie numerose viste ancora come l’unica ricchezza, una ricchezza fatta di braccia per lavorare e non di bocche comunque da sfamare. E’ anche l’Italia delle manifestazioni sindacali, degli scontri con le forze dell’ordine, di leader populistici e carismatici come Di Vittorio, di un Sud emblematico nel combinato disposto miseria-tradizione.

Non è un caso che un povero quartiere di baracche alla periferia di Crotone venga ribattezzato in quegli anni Shangai, quasi che il brulicare di gente e la fatiscenza delle costruzioni avesse più a che fare con la moltitudine di una Cina immaginaria che con la realtà di un meridione desolato.

La mostra Olive&Bulloni andrebbe fatta vedere ai nostri figli che purtroppo del passato prossimo dell’Italia sanno poco e non si rendono conto dello straordinario cammino che in nemmeno mezzo secolo ha trasformato radicalmente il Paese. Chi si lamenta oggi della crisi economica farebbe bene a guardare al nostro passato recente, quando la povertà era una condizione e non una sensazione.

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