Oltre, l’Italia non può attenderlo

Quando il gioco si fa duro, i puri dovrebbero cominciare a giocare. Ché dei duri non c’è bisogno, nell’Italia di Lippi dal tratto vagamente operaio. Gattuso, frenato da una cicatrice che ne limita al 40% il dinamismo, e soci bastano e avanzano. C’è invece un disperato bisogno del puro qui inteso come Francesco Totti e dei suoi lampi di classe, le sue giocate uniche. Perché oltre l’appuntamento di Kaiserslautern, ottavi di finale contro i coccodrilli di Hiddink, lunedì prossimo, non è lecito attendere che miracolosamente sbocci la migliore salute, che continui a inseguire la forma perduta su quel prato spelacchiato dell’Olimpico, in una domenica di febbraio, sotto il colpo di Vanigli. Totti s’impegna, è bene segnalarlo tutte le volte, comincia, a fatica, a caricare il suo destro, comincia a mettere nel mirino la porta ma nel frattempo sono ancora vistosi i suoi limiti fisici. Parte due metri prima dell’avversario e si lascia rimontare, arriva al contrasto con le mani e precipita a terra alla prima collisione, per proteggere la caviglia dolente; sua moglie Ilary in tribuna, se lo vede stuprato dal calcione di Polak, porta le mani agli occhi, come per non vedere, angosciata. Il suo non è un infortunio banale, tradizionale. Fior di epici guerrieri, per ritornare in modo decente in campo, hanno impiegato la bellezza di sei mesi. Lui, dopo meno di tre, è qui al mondiale. E lotta, si fa per dire, insieme a noi.
Ecco il punto, allora, il nodo che rischia di strangolare l’Italia di Lippi, non bella da vedere, ma di sicuro tosta, solida e perciò da ammirare. In particolare per la tenuta stagna in difesa e quel cinismo trapattoniano riscoperto nelle rare imboscate offensive. Lippi deve aspettare in eterno Totti o deve subito metterlo da parte? Il ct è dinanzi a un bivio, l’ennesimo. E non solo perché il disegno tattico della nazionale è ricalcato sulla sagoma del romanista. Il motivo è un altro: il suo più famoso alter ego, Alessandro Del Piero, è vittima della sindrome che sembra aver colpito tutti gli juventini al mondiale, da Ibrahimovic a Trezeguet, tutti giù di corda e di forma, con la strepitosa eccezione di Cannavaro e Buffon. Non solo. Fonti attendibili riferiscono di una tendinite che continua a deprimere Alex: c’è uno stato precario di forma ma il vecchio acciacco peggiora la situazione. Non c’è un ricambio affidabile, quindi. E la terza opzione, Perrotta schierato alla Spalletti, dietro la punta unica, non raccoglie la convinta adesione del ct. Eppure bisogna saltar fuori dal terreno minato dell’equivoco Totti e raggiungere il campo aperto di una scelta definitiva. L’Australia è l’ultima chiamata per il genio romanista: o salta in groppa alla sfida, in qualche modo la doma e la orienta, oppure è bene che ammetta tormenti e ritardi e si faccia da parte. Senza provocare strappi all’interno del gruppo.
«L’Australia è un’occasione bella e rischiosa» sostiene Gigi Riva. Esatto.

Bella perché, sullo slancio degli ottavi, gli azzurri possono raggiungere le semifinali, tra le prime quattro nazionali al mondo, traguardo eccellente per questo gruppo decimato da infortuni (quello di Nesta è più grave del previsto, un altro al posto di Gattuso sarebbe a casa a farsi curare) e con un tasso tecnico ridotto. Rischiosa perché uscire per mano di Hiddink diventerebbe l’ennesima mortificazione. Tocca a Totti, tagliare il nodo. Quando il gioco si fa duro, il puro è bene che si faccia avanti.

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